Sapevo vagamente dove fosse il Burkina Faso fino a quando non ho incontrato Soumaila un Burkinabè che vive da anni in Italia con la sua famiglia.
Ex colonia francese dell’Alto Volta questa terra dell’Africa occidentale senza sbocco al mare è compresa nella fascia del Sahel minacciata dall’avanzamento del deserto del Sahara.
E’ stato Soumaila a parlarmi della “Vitellaria paradoxa“, pianta tipica che cresce in tutto il Sahel da cui si ricava il burro di Karitè, e chissà se a contribuire alla ricrescita di questa pianta è stato anche Yacouba Sawadogo: l’uomo che fermò il deserto.
La storia è lunga e inizia negli anni ’70 quando questo contadino cocciuto e paziente (Yacouba non ricorda un po’ Giacobbe?) recupera una vecchia tecnica colturale africana: lo “zai”, che consiste nello scavare buche nel terreno e riempirle di sterco e resti vegetali così da fermare l’umidità delle poche piogge che cadono nel Sahel.
Semi di piante spinose rivestiti di sterco e per questo non appetibili ad uccelli o insetti, germogliano e aiutano a trattenere l’umidità, arrivano poi le termiti che scavano cunicoli nel terreno, contribuiscono a rendere il terreno più soffice e lavorabile, adatto ad accogliere altri semi e piante che sviluppandosi trattengono la sabbia del deserto, foglie che si decompongono e creano nuovo humus….
Qualcuno ha detto che questa storia ricorda molto da vicino quella di Elzéard Bouffier, l’uomo che piantava gli alberi, nell’Alta Provenza francese, migliaia e migliaia di ghiande di quercia che negli anni hanno creato una foresta, modificato il microclima di quella zona.
Certo bisogna essere un po’ pazzi, essere disposti ad essere considerati dei pazzi, e magari anche ad essere ostacolati, perseguitati come pare sia successo al nostro Yacouba.
Anche se è diventato una celebrità e invitato a conferenze e convegni deve ancora lottare con il governo del suo paese che ha confiscato parte dei boschi da lui creati per un nuovo progetto di urbanizzazione.
Alcuni anni fa è stato girato un documentario che racconta questa storia.
Purtroppo per noi, per molti, non c’è troppo da vantarsi, se un umile contadino semi-analfabeta, è riuscito a fare questo basandosi su tradizioni e conoscenze empiriche, ma il suo è un esempio ormai seguito da molti.
Tra questi l’agronomo Venanzio Vallerani che ha studiato una tecnica di aratura a mezzaluna per produrre con l’aratro delle buche simili a quelle di Yacouba e questo sistema è stato applicato in Burkina Faso e in altre regioni dall’Associazione svizzera “Deserto Verde”.
Un altro progetto è quello della muraglia verde del Sahel
qui i dettagli: http://www.corriere.it/ambiente/14_marzo_27/senegal-muraglia-verde-dove-c-era-deserto-211e1752-b5bc-11e3-88c9-f5f1afba752a.shtml
Ma insomma, ritornando a noi e alla siccità in Italia di questi mesi e alle estati sempre più calde, forse bisognerà cambiare qualcosa nelle tecniche di coltivazione per far fronte all’avanzante deserto o tra qualche anno anche nella nostra penisola ci ritroveremo a crescere le piante del Sahel A parte il Baobab o l’albero del Karitè, piante come il Nerè ( Parkia biglobosa) l’Acacia Seyal, l’Acacia mellifera o il Neem (Azadirachta indica).
Belle vero? Ma ve ne parlerò più diffusamente una prossima volta.
Anche mio papà faceva i solchi accanto alle piante dell’orto mettendo l’erba tagliata del prato e lo sterco delle galline. In africa si recupera dal deserto, qui lo abbiamo creato (vedasi l’enorme spiazzo cementato o di prato secco di Mapensa) … hahahaha
Il deserto di Malpensa non è solo questo.
Vai a rileggerti questo altro articolo: https://sterpaglie.wordpress.com/2016/01/14/spaventapasseri-del-xxi-secolo/
Grazie mille Luciano,
È sempre un piacere leggere le tue preziose e curiosissime e originali storie su mondi paralleli 😃😃
Grazie x arricchire il nostro sapere .. Gloria
Grazie a te Gloria per la tua attenzione!