
Non ci vuole molta fantasia, lo so, a paragonare tutti questi scampoli di cellulosa caduti per terra a quegli altri, di cellulosa trasformata in carta che chiamiamo coriandoli.
Questi ultimi arrivano in un periodo dell’inverno dove di colori non ce ne sono e ci mettono allegria (l’allegria prima della penitenza e del digiuno, o almeno così era un tempo in quaresima).
Questi coriandoli di novembre invece a molti mettono tristezza (è il periodo delle foglie morte) ma prima ci regalano emozioni elettrizzanti, caleidoscopi di colori, paesaggi di incredibile bellezza fatti di alberi rivestiti di foglie che urlano al cielo tutto il loro splendore.







E poi?
Poi ecco la pioggia e il vento… e il gelo.

Così loro adesso sono a terra come cartaccia dopo una festa, una manifestazione un corteo.




Ma non tutto è perduto. C’è chi li raccoglie per farle seccare tra le pagine di un libro per conservare intatti il colore e la memoria; c’è chi li strofina con con un pastello a cera o un carboncino per esaltarne le nervature su un foglio di carta bianco, chi ne fa composizioni per ornare il centrotavola.

C’è chi come i cani e i bambini li annusano curiosi e chi dalla forma prova a riconoscere da che pianta provengono





Tutto questo sono le foglie cadute: coriandoli di novembre calpestati dalle suole dei passanti, schiacciati dalle ruote delle auto, obbligati all’improvviso a guardare il mondo da un’altra prospettiva, eppure non provano dolore.

E se ci ricordiamo la famosa legge di Lavoisier ( Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma) forse non ci dispiacerà troppo se tra un po’ diventeranno poltiglia.