
Alessandro Faraggiana (1876-1961) di nobile famiglia Novarese aveva la passione per quella che veniva definita “caccia grossa” e per le esplorazioni: una moda nella borghesia di fine ottocento sull’onda lunga dei grandi esploratori in Asia, nelle foreste del Congo e nella regione africana dei grandi laghi. Come il Dott. Livingston, suppongo!

Questa passione sostenuta “da casa” dalla madre Catherine Faraggiana Ferrandi con la creazione di un piccolo zoo e di un museo nel parco della Villa di Meina creano le premesse per il nucleo storico di quello che dal 1959 è diventato nell’ex palazzo di famiglia a Novara il Museo di Storia Naturale Faraggiana Ferrandi con ben 2500 esemplari dei quali oltre 450 esposti.

E’ possibile così, in pieno centro cittadino immergersi nelle foreste equatoriali, nei deserti dell’Asia, ammirare le scogliere artiche e l’alba nella savana, ascoltare i richiami degli animali e credere per un attimo di trovarsi davvero lì osservando un ghepardo che insegue un’antilope come in un fermo immagine di un documentario in 3D. (Tanto è il realismo che restituiscono gli animali impagliati).






Alla collezione zoologica ha dato poi impulso quella etnografica grazie ad un’altra figura centrale in questa vicenda: quella di Ugo Ferrandi
A questo punto, siamo ormai nel XXI secolo arriva in questo posto un artista italiano che vive da tempo a New York (quasi un apolide, potremmo dire, di quegli apolidi che si guadagnano questo titolo grazie alle loro opere pubbliche, sparse in quasi tutto il mondo e che lavorano molto su commissione come potevano fare a suo tempo personaggi come Leonardo da Vinci o Michelangelo (non è un paragone: è solo un esempio)
Francesco Simeti, studia il museo e gli animali che lo guardano muti, con occhi di vetro e gli ambienti ricostruiti nel museo, nella grande sala della Savana africana e crea grandi pannelli, dapprima pensati su ceramica, poi, per non danneggiare le strutture dell’edificio storico, sceglie come supporto un PVC perforato così che sembra di guardare degli arazzi.

In fondo al cortile principale di Palazzo Faraggiana, dal quale si gode una vista prospettica particolare del campanile e della Cupola antonelliana della basilica di S. Gaudenzio ecco allora apparire un mondo affascinante di forme e di colori dove le farfalle tropicali si alternano alle orchidee e agli armadilli, dove le tigri sbucano dal fitto fogliame e le scimmie sono classicamente aggrappate alle liane.



Il soggetto , i soggetti, sono gli stessi osservabili all’interno del museo qui però cambia la sensibilità. Se la collezione storica descrive un’epoca di collezionismo e di trofei (tipiche le foto scattate a cavallo della preda appena abbattuta) quando il principio di conservazione delle specie era ancora sconosciuto, le grandi “vele” di Francesco Simeti” sono un trionfo di biodiversità, un inno alla bellezza, un grido e un monito perchè questa non vada perduta.
Per chi vuole approfondire: