MANGROVIA INVOLONTARIA

Va bene i cambiamenti climatici ma forse non siamo ancora arrivati a questo, non siamo ancora arrivati ad avere le mangrovie ad esempio sul delta del Po oppure nella Camargue.

La mangrovia è una formazione vegetale (o forestale) costituita da piante prevalentemente legnose, che si sviluppa sui litorali bassi delle coste marine tropicali, in particolare nella fascia periodicamente sommersa dalla marea.

La mangrovia non è una pianta di una sola specie, come si potrebbe pensare ma è formata da piante di diverse specie e famiglie che hanno come caratteristica quella di sopportare l’acqua salata o salmastra, si trovano spesso sulle coste vicino alle foci di fiumi in un ambiente nel quale acqua dolce e acqua salata si mischiano.

Ovviamente per sopravvivere utilizzano diversi accorgimenti tipo stare sui trampoli come le palafitte grazie a radici accessorie che sollevano il tronco oppure espellere l’acqua salata attraverso la traspirazione delle foglie, un po’ come le nostre lacrime.

C’è che divide l’ecosistema mangrovia in quattro fasce, da quella con piante sempre a mollo a quella sommersa regolarmente durante l’alta marea, dalla fascia sommersa solo raramente dall’acqua a quella completamente asciutta.

Caratteristica del terreno è comunque quella di essere sempre instabile, paludoso, quindi non proprio adatto per gli umani per viverci stabilmente, mentre altre specie di animali (insetti, rettili e uccelli) hanno saputo trovare il modo di abitare questo ambiente.

Le mangrovie sono presenti in tutti i continenti tranne l’Europa e si stima che coprano una superficie di circa 150.000 km. quadrati di cui la maggior parte in Asia.

Ma veniamo alle mangrovie nostrane. Dune di sabbia lungo i litorali o il delta del Po dove anche noi abbiamo piante che si adattano alla salinità dell’acqua come ad esempio il finocchio di mare (Crithmum maritimum) oppure il giglio di mare (Pancratium maritimum ) e la Calcatreppola, solo per citarne alcuni.

Sul delta del Po troviamo tra le altre la Salicornia e il Limonio due piante molto adattate alle acque salmastre.

Ma restando più vicini agli ambienti che frequento di solito ci sono a ben guardare alberi che se non al sale, si sono adattati bene in terreni periodicamente allagati: e il caso dell’ontano, dei pioppi, dei salici ed infine del cipresso calvo.

Cipresso calvo

E allora queste immagini del Ticino che allaga le sponde e si espande fino a sommergere alberi, accarezzare germogli, inzuppare erbe seccate dall’inverno rappresentano un normale fatto ricorrente, oserei dire una mangrovia d’acqua dolce.

BARBONE ADRIATICO

Certo, questa definizione non ve l’aspettavate. Io per primo ho stentato a crederci.

Perchè? Si possono distinguere i barboni di Venezia o a Ravenna da chi vive per strada a New York o Prigi? (a parte la lingua, o forse no la lingua non è una discriminante… e invece si, come capiremo più avanti)

Certo l’aspetto un po’ trasandato non depone a suo favore ma come molti altri nasconde un segreto, la sua nobile provenienza, infatti appartiene alla famiglia delle orchidee.

Ce le vedete le orchidee bivaccare sotto i ponti o i portici riparate dalla pioggia e dal vento sotto un cartone?

E infatti le orchidee, quelle tropicali vivono nella foresta, abbarbicate agli alberi e quelle nostrane nei prati di montagna e qualche volta anche in pianura e così anche il nostro Barbone adriatico (ovvero Himantoglossum adriaticum) vive nei prati di mezza collina dove non ha bisogno di uno specchio o di un pettine per farsi bello e dall’Adriatico si sposta (come un senza fissa dimora) ed oggi lo possiamo incontrare in quasi tutte le regioni d’Italia tranne la Val d’Aosta, la Puglia e le isole.

Lo possiamo riconoscere per il fiore ha un lunghissmo labello nastriforme simile ha una cinghia, dal greco Himantos (cinghia), Anthos (fiore) e glossum (lingua). Ed è propria questo particolare che gli ha fatto guadagnare il nome volgare di “barbone”.

E’ una pianta perenne dotata di un bulbo che fiorisce ogni anno tra aprile e luglio fino ad una altezza di 1.800 slm con fusti che raggiungono anche gli 80 cm.

H. adriaticum vegeta preferibilmente in ambienti aperti, in particolare prati magri, spesso con roccia affiorante, ai margini di boschi o arbusteti aperti, sempre su suoli calcarei o calcareo-dolomitici e soprattutto particolarmente aridi. 

Si ritrova, inoltre, in ambienti antropizzati come bordi stradali, aree agricole dismesse, frutteti abbandonati. (ai margini, insomma)

Spesso viaggia anche all’estero ( Vienna, Praga, Budapest, Belgrado e zone limitrofe) dove non ha bisogno di documenti di identità o certificati di residenza.

E’ una specie protetta dalla “Direttiva Habitat” allegati II e IV della Comunità europea, quindi quando li vediamo non dobbiamo fargli del male.

Del resto cosa sarebbe il nostro habitat urbano senza un barbone (adriatico) ?

AZALEA

Già. So che non ci crederete ma lo spunto per parlare di questo fiore mi è arrivato da un canale davvero insolito, un gruppo di rock indipendente coreano formato da quattro giovani donne le “Rolling Quartz”.

In effetti questo fiore è originario di quelle parti (Cina e Giappone compresi) anche se ormai fa parte del nostro orizzonte botanico. L’azalea è infatti presente in quasi tutti i giardini pubblici e privati d’Italia e d’Europa ma….

Azalea è conosciuta in Occidente fin dall’antichità, Plinio il Vecchio riferisce di un caso di avvelenamento di soldati romani dopo aver ingerito fiori di Azalea.

Esistono poi molte leggende su questo fiore.

Dalla donna coreana che scorge un’azalea su un dirupo e un uomo gentile si arrampica per regalargliela assieme a una poesia (siamo nell’antico regno di Seongdeok Daewang) alle dieci figlie del principe indiano dalla pelle pallida che prima si trasformano in colombe e poi ancora rinascono come splendidi fiori di azalea.

Poi arriva Linneo e ci toglie tutta la poesia ( o quasi) intanto per incominciare le classifica nel genere Rhododendron (come i rododendri che però hanno foglie e fiori più grandi) e lo fa infischiandosene dei greci che attribuivano questo nome agli oleandri, infatti rhododendron significa “albero delle rose”.

Poi scopriamo che l’azalea appartiene alle “Ericaceae” : azaleos in greco significa disseccato. Questo è dovuto ad un’altra caratteristica dell’azalea che mantiene i fiori a lungo sulla pianta anche quando sono sfioriti (seccati, appunto)

Pianta acidofila per eccellenza l’azalea può essere coltivata in vaso o in piena terra stando attenti che però il terreno si mantenga con un buon grado di acidità (per questo alcuni suggeriscono di innaffiarla con acqua piovana).

Diffusissima nei nostri giardini l’azalea è ormai entrata anche nei nostri cuori perchè è diventato universalmente il fiore dell’amore , della femminilità e della tenerezza. Rappresenta specie nei paesi orientali l’amore materno, ecco perchè spesso viene regalato in occasione della “Festa della mamma“.

Ecco allora alla fine cosa centrano le Rolling Quartz: il loro brano Azalea è una struggente storia d’amore (non so il coreano; è quello che penso di aver capito con il traduttore anche se spesso sbaglia).

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TICINO IN CONTROLUCE

ATTENZIONE!

Avviso ai naviganti! Il Ticino è in piena e le sue acque corrono veloci, sconsigliato scendere in canoa o altri piccoli navigli.

La corrente trasporta tronchi di alberi, cortecce, al limite piume di uccelli e sposta, sotto il pelo dell’acqua, le amiche di Mick Jagger, pietre che rotolano e ritroveremo molti chilometri più a valle.

E già, dove sono finiti i sassi del Ticino? Quelle pietre levigate,bianche ed enormi come uova preistoriche che tanto assomigliano, ci ha detto Aureliano Buendia, a quelle del fiume di Macondo?

Le vedremo ancora, anche se non saranno più le stesse, anche se il fiume avrà cambiato volto, a volte percorso.

L’acqua scorre grigia, quasi nera, ma non minacciosa.

Perchè tutto questo, ci chiediamo? E’ una cosa insolita in aprile.

Poi scopriamo che hanno aperto le dighe a valle del Lago Maggiore perchè si era gonfiano tanto tanto, quasi come un pesce palla e così sul fiume si sono riversati 1200 mc di acqua al secondo, sei volte la portata abituale del Ticino in questa stagione.

Insomma un Ticino forza sei anche se, almeno qui, non è pericoloso, anche se non abbiamo dovuto mettere i sacchi di sabbia alle finestre.

E gli uccelli?

Sembrano anche loro spariti come i sassi, ma non sono sotto il pelo dell’acqua, non sono in apnea come gli svassi (dopo un settimana sarebbe troppo anche per loro).

Assenti i Germani, solo qualche Cormorano prende il volo sullo sfondo delle nuvole basse; sì, sono loro anche se in controluce è difficile distinguere i colori.

Eccoli imboccare l’antico corso del Naviglio Grande davanti alla Casa della Camera, un tempo sede dei gabellieri, senza pagare dazio, come i marmi del Duomo di Milano, che ormai non passano più di qui.