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MAGGIOCIONDOLO

Ciondolare, bighellonare, andarsene in giro qua e là senza una meta precisa con passo stanco, indolente.

A ciondolare, a maggio è soprattutto lui, il Maggiociondolo, ah non nel senso di prima ma in quello che, quando c’è una brezza di vento, i suoi grappoli a testa in giù si muovono in tondo facendo perno sul picciolo attaccato alla pianta.

Quando lo vedi per la prima volta pensi sia una robinia alla quale hanno spruzzato vernice gialla, poi capisci che è il colore naturale dei suoi fiori, peraltro del tutto simili a quelli della parente pseudoacacia infatti entrambi sono alberi della famiglia delle leguminose.

Arbusto o al massimo piccolo albero, il Maggiociondolo è una pianta diffusa del sud Europa che preferisce i terreni calcarei e la compagnia delle roverelle, cresce infatti dalla pianura fino agli 800 m- slm.

Fiorisce da aprile a giugno, e i suoi grappoli in piena fioritura creano un effetto come una pioggia d’oro. almeno così la pensano gli inglesi che lo chiamano anche “Golden rain” mentre per gli spagnoli è “Lluvia de oro” o Falso ebano per la durezza del legno usato in varie applicazioni come ad esempio i pali delle vigne o strumenti a fiato e in questo si trovano d’accordo con i francesi che lo nominano come Cytise faux ébénier.

Ecco, a parte la bellezza dei suoi fiori si può notare la particolarità delle foglie che sono trifogliate (formate da tre petali ovali, a margine intero (come in trifoglio, quando non e quadri…)

I fiori però sono velenosi perchè contengono una sostanza chiamata citisina, un alcaloide tossico che provoca convulsioni dei centri vasomotori e respiratori, può causare gravi avvelenamenti, con esiti anche mortali. I semi in particolare, sono velenosissimi, ma in realtà tutta la pianta è tossica.

Questa sua caratteristica ha alimentato alcune leggende: si vuole infatti che le streghe lo usassero per preparate pozioni magiche che davano senso di leggerezza e di inconsistenza del peso corporeo e inducevano uno stato psicoattivo chiamato “volo della strega“.

Attenzione quindi se vi aggirate nei boschi in questa stagione perchè il bellissimo Laburnum anagyroides (come lo chiamano gli scienziati) può essere pericoloso ma voi potere esorcizzarlo sussurrando una canzoncina.

Forse è per questo che si chiama anche “Cantamaggio” ?

MANGROVIA INVOLONTARIA

Va bene i cambiamenti climatici ma forse non siamo ancora arrivati a questo, non siamo ancora arrivati ad avere le mangrovie ad esempio sul delta del Po oppure nella Camargue.

La mangrovia è una formazione vegetale (o forestale) costituita da piante prevalentemente legnose, che si sviluppa sui litorali bassi delle coste marine tropicali, in particolare nella fascia periodicamente sommersa dalla marea.

La mangrovia non è una pianta di una sola specie, come si potrebbe pensare ma è formata da piante di diverse specie e famiglie che hanno come caratteristica quella di sopportare l’acqua salata o salmastra, si trovano spesso sulle coste vicino alle foci di fiumi in un ambiente nel quale acqua dolce e acqua salata si mischiano.

Ovviamente per sopravvivere utilizzano diversi accorgimenti tipo stare sui trampoli come le palafitte grazie a radici accessorie che sollevano il tronco oppure espellere l’acqua salata attraverso la traspirazione delle foglie, un po’ come le nostre lacrime.

C’è che divide l’ecosistema mangrovia in quattro fasce, da quella con piante sempre a mollo a quella sommersa regolarmente durante l’alta marea, dalla fascia sommersa solo raramente dall’acqua a quella completamente asciutta.

Caratteristica del terreno è comunque quella di essere sempre instabile, paludoso, quindi non proprio adatto per gli umani per viverci stabilmente, mentre altre specie di animali (insetti, rettili e uccelli) hanno saputo trovare il modo di abitare questo ambiente.

Le mangrovie sono presenti in tutti i continenti tranne l’Europa e si stima che coprano una superficie di circa 150.000 km. quadrati di cui la maggior parte in Asia.

Ma veniamo alle mangrovie nostrane. Dune di sabbia lungo i litorali o il delta del Po dove anche noi abbiamo piante che si adattano alla salinità dell’acqua come ad esempio il finocchio di mare (Crithmum maritimum) oppure il giglio di mare (Pancratium maritimum ) e la Calcatreppola, solo per citarne alcuni.

Sul delta del Po troviamo tra le altre la Salicornia e il Limonio due piante molto adattate alle acque salmastre.

Ma restando più vicini agli ambienti che frequento di solito ci sono a ben guardare alberi che se non al sale, si sono adattati bene in terreni periodicamente allagati: e il caso dell’ontano, dei pioppi, dei salici ed infine del cipresso calvo.

Cipresso calvo

E allora queste immagini del Ticino che allaga le sponde e si espande fino a sommergere alberi, accarezzare germogli, inzuppare erbe seccate dall’inverno rappresentano un normale fatto ricorrente, oserei dire una mangrovia d’acqua dolce.

BIBLIOTECA DEGLI ALBERI

BAM,ovvero Biblioteca degli alberi di Milano, sei i bam fossero due (bam bam) potrebbero riecheggiare una hit anni ’60 di Sonny &Cher; altri tempi e soprattutto altra metropoli.

La dove c’erano i binari e la vecchia stazione centrale e un canale (Martesana) ora tombato e poi un luna park nella zona di Porta nuova chiamata dai milanesi “Varesine” sorge ora uno dei quartieri simbolo della Milano del 21° secolo. (Celentano però non ci ha fatto una canzone)

Il parco creato in questa zona si può definire il Central park di Milano?

Storicamente questo accostamento spettava al Parco Sempione tra l’Arco della Pace e il Castello Sforzesco, a due passi dal Duomo e forse non è il caso di togliergli il titolo.

Ma se voi passeggiate nel BAM quello che più lo accosta a New York è lo skyline, è l’atmosfera che si respira anche d’inverno (ho detto atmosfera e non aria, che su quella ci sarebbe da fare un altro discorso).

Con una estensione di 10 ettari, la Biblioteca degli Alberi è forse il parco più innovativo d’Italia se non di Europa.

Il parco, inaugurato il 27 Ottobre 2018, è stato realizzato dalla designer paesaggistica Petra Blaisse e da Piet Oudolf, insieme allo Studio Inside-Outside.

Si possono osservare più di 100 specie diverse, 500 alberi disposti in 22 anelli e 135.000 piante anche se adesso, nella stagione invernale appare un po spoglio, ma non privo di fascino.

E’ sufficiente questo per definirlo un moderno giardino botanico? 

La disposizione a cerchio delle essenze è sicuramente accattivante ma il massimo credo sia l’idea dei prati fioriti.

Questo spettacolo che potete ammirare se ci andate in primavera/estate si rifà alla teoria del giardino spontaneo definita da Piet Oudolf e cioè che i giardini e gli spazi di verde pubblico possono esistere, con naturalezza e spontaneità, senza schemi fissi prendendo le distanze dall’estetica delle piante ornamentali e dai modelli del giardino costruito. (Jilles Clement docet).

E se siete amanti della poesia?

Niente paura troverete all’interno del parco dei percorsi poetici delle frasi scritte da comuni cittadini scelte attraverso un concorso pubblico e che potete leggere qui:  https://bam.milano.it/collezione-botanica/percorsipoetici/

IL SENTIERO DELLE QUERCE D’ORO

Chi è arrivato fin lassù con secchio e pennello? Chi ha dipinto d’oro tutte le querce?

Forse hanno spruzzato una vernice dall’alto con un elicottero, un drone o forse, anzi senza forse la spiegazione è più semplice.

E’ il sole al tramonto che inonda di luce le chioma più alte degli alberi rendendole luccicanti, come tante foglie d’oro.

Lei è la Farnia ovvero Quercus robur, la madre di tutte le foreste di pianura, quella pianura un tempo paludosa e oggi convertita in grandi distese di grano e di mais che i Celti insubri, discesi dalle Alpi, scelsero per stabilire la loro capitale e che i romani chiamarono Mediolanum.

Cosa resta oggi di quella foresta, di quella selva oscura, seppure non dantesca, dove era facile per i viaggiatori imbattersi nei briganti ma che è sempre stata la via più breve per i commerci tra la pianura, i laghi e i valichi di montagna, primo tra tutti il Sempione, calcato anche dalle truppe di Napoleone?

Un sentiero.

E’ sufficiente un sentiero?

Certo che no. Sicuramente ne esistono molti altri e lei la farnia è sempre la regina, colei che regna da moltissimi anni, più di quelli della regina Elisabetta e quando tutte le altre piante si spogliano, lasciano le foglie cadere dolcemente a terra, lei aspetta ancora un poco, le trattiene a sè come figlie avendo solo l’accortezza di chiamare in ritirata la clorofilla, facendo perdere alle foglie tutto il colore verde.

Poi la luce fa il resto.

FREMONTIA CALIFORNIANA

Bella, sì, bella ma irritante. Non è capitato anche a voi di incontrarne qualcuna?

Sempreverde dalla crescita rapida (può raggiunger in poco tempo i sei metri di altezza) che ha bisogno di pochissima acqua e resiste bene al caldo e al freddo, pare la piante perfetta anche perchè i suoi fiori giallo limone sono molto scenografici.

E dunque è una piante dalle molte qualità con un solo piccolo difetto: dalla pagina inferiore più chiara e pelosetta si stacca una polverina irritante per la pelle perciò prima di avvicinarsi troppo (per potarla ad esempio) occorre proteggersi.

Da noi è davvero rara, è più una pianta da collezionisti non così nella parte occidentale degli Stati Uniti e nel Messico, dove esiste una varietà a fiori rossi (Fremontia decumbens o Fremontia messicana)

Fremontia decumbens

E che sia comune nel continente americano lo dice anche la sua famiglia di appartenenza: le Sterculiaceae (no, non preoccupatevi, lo sterco non centra) famiglia a cui appartiene anche la pianta del Cacao.

Fiore di Theobroma cacao

Chiamata anche Flanella (per la consistenza delle foglie coriacea ma leggermente ruvida al tatto come la flanella) e Olmo scivoloso, il suo legno era usato dai nativi americani per le lance e per farne corde.

Può essere propagata per talea o per seme anche se il seme ha bisogno di un trattamento particolare: prima una scarificazione in acqua calda per poi tenerlo in terreno umido per 12-16 settimane prima di vederlo germogliare.

Molto più comodo se conoscete un vivaista in Costa Azzurra, dove il collezionista ha recuperato l’esemplare nelle foto.


	

LA BRUGHIERA A SAN MARTINO

No, tranquilli. La brughiera è sempre quella di Gaggio.

Ma vi siete mai chiesti come può essere la brughiera nell’estate di S. Martino?

Eccovi accontentati.

C’è ancora molto rosso e una luce stupenda che penetra tra foglie e un cielo blu che più blu non si può.

In questa brughiera boscata così diversa dalle distese di bassi cespugli delle brughiere del Nord Europa, le radure si alternano al bosco, i pini si alternano alle querce, i pioppi tremuli fanno da sponda ai sentieri e il brugo ormai secco ha assunto un colore marroncino.

Cammino su un sentiero dove sono caduti tronchi di betulla, qualche cavalletta azzurra ancora saltella qua e là, incontro anche qualche fungo margherita ormai seccato dal vento di ieri.

Più avanti incontro un calesse con due cavalli e due persone sedute a cassetta,

Il verde del sottobosco (a novembre !!) mi accoglie poco dopo in un bosco di farnie.

E’ un panorama familiare dove davvero mi sento a casa ma penso a tutti quelli che non ci sono mai stati e che non immaginano quanto affascinanti possono essere queste “sterpaglie”

Ecco ho già detto troppo perchè ancora una volta le immagini dicono molto di più delle parole ma un’ultima cosa la voglio dire (a chi lo sapete):

“Perchè volete toglierci questa meraviglia in nome del dio denaro?”

BARBONCINO DIGITATO

Quando l’autunno cambia colore alle cose, alle piante, agli ambienti, ti accorgi anche di umili erbe che non avresti mai notato se non fosse per quel rosso che ora invade anche loro.

Una di queste è una graminacea (una poacea) perenne che qui nella brughiera di Gaggio si è ritagliata un suo spazio grande come un campo di bocce o poco più, forse come una o due piste da bowling (ma senza birilli)

Tutti (oddio non proprio tutti, solo quelli che la conoscono) la chiamano Barboncino digitato, anche se non ho capito perchè.

Forse sul digitato posso arrivarci nel senso che il fiore è una spiga che si apre come le dita di una mano.

Particolareggiato e conseguente è invece il suo nome scientifico ovvero Bothriochloa ischaemum.

Gli esperti mi dicono che lL nome del genere Bothriochloa deriva da due parole greche che significano “fossa” ed “erba” forse n riferimento alla tipica fossetta presente nelle glume di diverse specie di questo genere.

Il nome della specie ischaemum  invece significa “trattenere il sangue” forse riferendosi al colore rossastro della pianta oppure alle sue presunte proprietà emostatiche.

E’ presente nei prati aridi o in quelli secchi e ghiaiosi praticamente di tutto il mondo da 0 a 1300 metri s.l.m. tanto che si è guadagnata la fama di pianta xerotermofila cioè ama condizioni climatiche calde e secche.

Infatti l’estate 2022, al contrario di noi non ha sofferto per niente ed ora si pavoneggia con le sue spighe rossastre (la fioritura va da giugno a novembre).

Tutto intorno i prunus e i pioppi tremuli, le querce rosse, accompagnano il cambio di stagione arrossendo, cacciando fuori tutti gli antociani di cui sono capaci, no, non per noi, anche se questo spettacolo appare meraviglioso ai nostri occhi.

Loro in realtà si stanno semplicemente preparando per l’inverno.