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OASI DELLA BRUSCHERA

Inverno 2021, siamo in lockdown e non è permesso uscire dal proprio comune ma agli stagni di fitodepurazione a valle del depuratore incontro una coppia di ciclisti.

Loro mi riconoscono per primi.

“Veniamo sempre qui adesso che non si può girare ma siamo stati anche alla Bruschera dopo che ce ne hai parlato”

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Estate 2021 eccomi di nuovo in questo angolo del Lago Maggiore, nella parte sud del golfo di Angera, molto particolare e ricco di piante e uccelli (e anche di storie)

Un’area di 164 ettari caratterizzata nella parte nord da uno degli ultimi lembi della foresta allagata che nei tempi antichi occupavano gran parte della pianura lombarda.

Boschi di ontani, estesi saliceti e canneti danno riparo e permettono la nidificazione di diverse specie di uccelli tra cui aironi, folaghe, gallinelle d’acqua, svassi oppure il Martin pescatore e, d’inverno, i cormorani.

Più a sud altri specchi d’acqua sono gli stagni di fitodepurazione con un capanno per l’avvistamento degli uccelli e poi proseguendo un bosco di latifoglie con prevalenza di querce. Inutile dire che grazie a queste peculiarità ambientali ed ecologiche l’oasi della Bruschera è diventata un sito di interesse comunitario e zona di protezione speciale per le numerose specie di uccelli, anfibi, piccoli mammiferi e alcune specie di piante.

Ma la parte più paesaggistica è un sentiero che costeggia il lago, dominato dalla mole della Rocca borromea.

Più a est, nella lanca protetta da un canneto e con vista sulla sponda piemontese e su Arona, ecco gli svassi.

Oggi sono molto vivaci, fanno un baccano assurdo, pescano immergendosi come loro solito con lunghe apnee ma sembra ci sia in atto anche una lotta per il territorio tra gigli d’acqua e ninfee.

Le tartarughe guancia gialla, appostate su tronchi a pelo d’acqua assistono impassibili.

Tartaruga guancia gialla (Trachemys scripta scripta)

I cigni invece preferiscono acque più libere, attorno all’isolino Partegora, uno scoglio di pochi metri quadrati, circondato da canneti, sul quale è vietato sbarcare ma sul quale sono fiorite molte storie a cominciare da quella dei Santi Giulio e Giuliano, che vissero su quest’isola per qualche tempo e poi se ne andarono al Lago D’Orta profetizzando un fatto di sangue che sarebbe successo qualche secolo dopo.

Nel 1066 il vescovo Guido da Velate e la sua concubina Olivia Vavassori vi faranno barbaramente trucidare il diacono Arialdo da Cucciago, uno dei fondatori del movimento poi chiamato “Pataria“.

Ma un altro fatto ha reso famose queste acque. Infatti capitò un giorno del 1776 che Alessandro Volta (si quello della pila) passasse da queste parti durante una gita in barca e raccolse in una bottiglia un campione di acqua con strane bolle che venivano in superficie: erano bolle di aria infiammabile ovvero aveva scoperto il metano.

E’ proprio vero, certe scoperte nascono per caso, così come quasi per caso ho scoperto questo posto, senza aver letto niente prima, per non rovinarmi la sorpresa.

CAMPO DELLA PROMESSA

Vasche laminazione Torrente Arno

C’era una volta nel territorio del Comune di Lonate Pozzolo (VA) un vecchio campo d’aviazione militare, anzi all’inizio era nuovo, giovane, come la storia dell’aviazione in Italia,  sicuramente uno dei primi campi che ha visto decollare e atterrare macchine volanti.

Siamo a cavallo della Prima guerra mondiale e la parola “cavallo” non è un caso visto che l’aviazione ha preso il posto negli eserciti moderni della cavalleria.

Un giorno del lontano 1926 passò di lì anche un poeta/aviatore, no non Saint – Exupéry ma un italianissimo vate (senza la r) ovvero Gabriele D’Annunzio che ribattezzò questo campo di aviazione nella brughiera lombarda: Campo della promessa.

Quale era questa promessa?  Quella di magnifiche sorti e progressive?  o quella di un futuro aureo per l’aviazione e un’espansione incontrollata dell’aeroporto?  (in questo caso più che una promessa, una minaccia).

Quale che fosse la promessa, dopo la seconda guerra mondiale ci fu invece il “tradimento” ovvero si preferì scegliere per lo sviluppo dell’aviazione civile il poco più a nord aeroporto della Cascina Malpensa.

E così il campo di aviazione di Lonate P.,  ovvero Campo della promessa, divenne base per le esercitazioni dei reparti di artiglieria dell‘Esercito Italiano che si allenavano a fare la guerra sparando nella brughiera.

Dopo l’abbandono anche da parte dell’artiglieria il campo è caduto nell’oblio,  inutilizzate e ormai invase dalla vegetazione le  palazzine e gli hangar.

Solo agli inizi degli anni 2000 un progetto di gestione idraulica delle acque del Torrente Arno  ridiedero a questo luogo gli onori della cronaca  con la creazione di tre grandi bacini di laminazione acque del bizzoso e inquinatissimo torrente su una superficie di 28 ettari all’interno di quello spazio che aveva visto da vicino i primi eroici pionieri del volo.

La sistemazione idraulica, che ha bonificato grandi aree boschive che erano diventate paludi maleodoranti presenta ancora problemi per la prevista tracimazione nel fiumeTicino delle acque in eccesso dalle vasche di laminazione che andrebbero a  peggiorare la qualità delle acque del Fiume Azzurro.

Nel frattempo, però, come sempre accade, la natura ha fatto il suo corso e piano piano questi specchi d’acqua  si sono rinaturalizzati  con l’arrivo di nuove piante e di uccelli acquatici, oltre ad altra fauna terrestre.

Naturalmente ogni stagione ha le sue peculiarità, gli uccelli saranno più numerosi e visibili nella stagione fredda, i coniglietti al mattino presto o verso sera…  le zanzare, a stormi, in piena estate.

Adesso, a fine estate, inizio autunno gli specchi d’acqua a volte si coprono ancora di lenticchie d’acqua (segno della presenza di azoto, fosforo e altri nutrienti organici), i biancospini incominciano ad arrossire con le loro lucide bacche color rubino ma  ci sono anche il luppolo e la vite bianca (la Bryonia dioica, una pianta della famiglia delle cucurbitacee).

E se la cicoria mi guarda con i suoi bei occhi azzurri,  la cavalletta color ruggine (Oedipoda Caerulescens) il suo azzurro lo tiene nascosto quando è ferma e lo sfoggia nelle sue ali quando prende il volo. 

Anche la locusta migratoria vola ma in modo pesante e rumoroso non come quello silenzioso delle libellule, la rossa Sympetrum e le affusolate Zygoptere in accoppiamento.

C’è molto altro in questo posto lo so, ma io sono stato sin troppo lungo e allora vi lascio un po’ di curiosità per i prossimi articoli su questo luogo, nelle prossime stagioni.

IL SEME PIU’ ANTICO DEL MONDO

 

Beh, se non proprio, poco ci manca.

Infatti pare che in Giappone furono rinvenuti dei semi di Loto (conosciuti anche come Phool Makhana) più vecchi di mille anni.

E il bello è che piantati questi semi germogliarono (dopo tutto questo tempo) dando vita a nuove piante.

il Loto o Nelumbo nucifera è una pianta acquatica originaria dell’Asia minore ma coltivata oggi principalmente in Cina, Corea, Giappone, Russia, India dove ha significati simbolici e religiosi di  purezza e vitalità. (E’ un fiore sacro)

Nelumbo lutea

Da noi, nei nostri specchi d’acqua lacustre è invece una infestante da tenere bene sotto controllo se non vogliamo che colonizzi tutto lo spazio togliendolo alle altre piante acquatiche.

Del Loto apprezziamo il fiore bianco e rosa e i tappeti estesi che formano le sue foglie rotonde sul pelo dell’acqua (mentre le radici se ne stanno ben aggrappate al fondo) Ma molto apprezzate sono anche le proprietà medicinali.

I fiori sono impiegati per infusi rilassanti e per preparare oli essenziali, le radici rinforzano il sistema immunitario e hanno proprietà antiossidanti,  i semi sono antinfiammatori e digestivi.

Ma l’altra cosa notevole è che tutte le parti della pianta vengono utilizzate in cucina: fiori, foglie, rizomi e anche i semi.

Ma, dove stanno i semi del loto?

Avete a casa un annaffiatoio?  Sì, quello che serve per dar da bere ai fiori.

Guardate bene il suo imbuto, quello dal quale escono i getti di acqua che cadranno sulle vostre piante;

Ecco, se andate in autunno/inverno in riva a un lago o a uno stagno non vedrete più fiori ma questi strani oggetti a forma di imbuto che non sono altro che il frutto della pianta di Loto.

Ne raccolgo alcuni ormai seccati, che da verde sono diventati marrone e li scuoto leggermente. I semi all’interno risuonano come nelle “maracas”. Sono semi marroncini dalle insospettabili virtù:

Contengono infatti proteine, magnesio, potassio, amido, fibre, ma anche minerali come zinco, ferro, calcio, fosforo…

Allora adesso ho davanti due possibilità:  o li mangio o li conservo per i posteri.

Va beh, qualcuno lo mangio crudo,  qualcuno lo cucino bollito in acqua, altri li preparo secondo la tradizione cinese: caramellati o preparo una pasta per farcire i dolci.

Saranno contenti i miei reni, la mia milza e il mio cuore.

Ma qualcuno lo voglio conservare e ci metto pure la data  2019.

Magari tra mille anni qualcuno li ritroverà, sempre se nel frattempo non saremo riusciti a distruggere la terra.

 

 

AZOTO FOSFORO E LENTICCHIE

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La ricetta è insolita, ammetto, niente a che vedere con quella classica che prevede il cotechino.  E’ insolita sì, ma ormai frequente, anche se non ho trovato in nessun blog di cucina come si fa a prepararla.

Va bene proverò a ricostruirla empiricamente.

Prima di tutto dovete procurarvi dell’acqua né troppo fredda, né troppo calda, diciamo tra i 20 e i 30 gradi (ah, l’acqua non deve essere gasata e neanche troppo agitata, diciamo che deve essere tranquilla, calma).

Aggiungete all’acqua un po’ di fosforo e di azoto (un bel po’; meglio abbondare che deficere per raggiungere più il fretta il risultato voluto).

E dove li andiamo a prendere?

La fonte più comoda sono i liquami degli allevamenti bovini e suini  ma anche alcuni fertilizzanti usati in agricoltura possono fare al caso nostro così come le acque in uscita dai depuratori.

Miscelate il tutto avvalendovi come contenitore di un fosso di irrigazione, di un canale di scolo, di uno stagno e poi lasciate che il vento porti lieviti, spore, cianobatteri che sviluppandosi faranno da brodo di cottura ovvero concime per i semi di Lemna minor L.   ovvero lenticchie d’acqua.

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L’effetto che si otterrà in breve è un tappeto verde brillante, simile a quello di un campo di calcio fatto di migliaia, milioni di lenticelle “appoggiate”fitte fitte sulla superficie dell’acqua così da nascondercela; ogni piccola lente grande pochi millimetri è dotata di una radice propria che succhia i nitrati e i nitriti (non quelli dei cavalli) dall’acqua come si fa con la cannuccia da un cocktail.

In questo senso possiamo considerarla anche come una pianta che depura le acque eutrofizzate.

Eutrofizzazione è una parola che vuol dire “ben nutrito” ovvero ricco di nutrienti ma che in questo caso ha assunto una valenza negativa.

Succede quando le sostanze nutritive in eccesso diventano inquinanti, alterano cioè l’equilibrio naturale di un corpo d’acqua.

Alghe unicellulari, fitoplancton, benton, fanno parte di quegli organismi invisibili a occhio nudo ma che rappresentano il primo anello di una catena alimentare destinata a modificarsi profondamente in conseguenza della presenza eccessiva di nutrienti come appunto il fosforo e l’azoto e i loro composti.

Il rapido e abnorme sviluppo e l’altrettanto rapida morte delle alghe e degli altri organismi vegetali, fanno diminuire l’ossigeno disciolto nell’acqua con la conseguente scomparsa di pesci e molluschi.

Allora mi dispiace, niente caciucco !

 

PATATA DELLE ANATRE

Lago di Varano

– Metti la freccia!  No, non a sinistra!… non vedi?!  lì c’è il lago.  Di qui sulla destra, invece c’è una “prateria” di fiori di loto dalle grandi foglie rotonde.

Fiori di loto– Hai messo la freccia?  Ok, adesso però sempre diritto sul sentiero in saliscendi che costeggia palazzine e un grande vivaio.

La prossima freccia che vedrai non è su un cartello metallico  o un pezzo di legno con la punta in cima a un paletto, è una foglia verde acuminata con un lungo stelo.

Indovina come hanno chiamato questa pianta?

Sagittaria naturalmente! (dal latino sagitta cioè freccia)

Sagittaria latifolia 1In questo caso trattasi di Sagittaria latifolia (a foglia larga) una pianta perenne della famiglia delle Alismantacee originaria del Nord America ma ormai naturalizzata in varie parti del pianeta, Italia compresa.

E’ una pianta acquatica che ama suoli acquitrinosi  e può crescere sia dentro sia ai margini di acqua stagnante, in pieno sole ma anche a mezz’ombra e anche se si può coltivare nel laghetto o nel piccolo stagno dei nostri giardini, la si trova allo stato spontaneo lungo i bordi dei laghi: uno dei suoi habitat preferiti.

A parte le foglie a freccia o a punta di lancia non la noteresti molto se non per la bellissima spiga di fiori bianchi che si può osservare tra agosto e settembre.

Un’altra notevole caratteristica di questa pianta è che la sua radice è un tubero commestibile.

Gli anglofoni, come al solito molto pragmatici quando si tratta di dare il nome alle piante, l’hanno soprannominata “Duck potato” o anche “Indian potato”.  Infatti i nativi americani ne facevano largo uso in cucina.

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Sagittaria fa venire in mente subito Sagittario: la costellazione raffigurata come un centauro che tende un arco con freccia (sagitta, saetta).

Avete presente il gesto che fa un famoso velocista jamaicano quando arriva al traguardo vittorioso? E avete presente come si traduce il suo nome?

Fulmine, saetta, Bolt (Usain): l’uomo cavallo.

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Va beh,  ho un po’ divagato ma, per tornare alla pianta, sono curioso di assaggiare il suo tubero.  Poi magari vi dirò.

Sagittaria latifolia
Sagittaria latifolia

TIPI DA ORTO BOTANICO

Come faceva Federico Fellini a fare i castings?   A comporre il suo circo di personaggi stralunati, eccentrici eppure così genuini?

Qualcuno prima di lui aveva provato a fare lo stesso esercizio, oppure no, l’intenzione era diversa il risultato invece simile.

Così la nave di Amarcord sembra attraccare in questo porto; sbarcano, entrano dalla porta nel grande anfiteatro per una recita speciale soggetti di tutte le provenienze, fattezze, carattere, talento.

Siamo all’ Orto botanico di Padova (il più antico d’Italia) e ogni angolo è una sorpresa, più che un film bisognerebbe fare uno sceneggiato a puntate.

La prima puntata è dedicata ad una regina: Violet queen o White queen, secondo il colore dei fiori molto profumati  e disposti a corona: il suo  nome scientifico è “Cleome spinosa” (non c’è regina senza spine) e viene dal Sud America. Si è guadagnata nel tempo una vasta fama nei giardini come pianta ornamentale perchè ha una fioritura molto lunga (da maggio a ottobre) tanto da far dimenticare quei fusti spinosi (come una bella ragazza con la macchinetta per i denti).

Cleome spinosa
Cleome spinosa

http://www.verdiincontri.com/piante/C/Cleome_spinosa.htm

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 La seconda puntata ha come soggetto un’altra pianta Sudamericana e abbondante di forma e dimensione è l’ Aristolochia gigantea Mart & Zucc. che quando fiorisce assomiglia ad un tacchino con quei suoi lunghi bargigli.  Le aristolochie erano usate un tempo per favorire il parto o al contrario per interrompere gravidanze indesiderate infatti l’etimologia di aristolochia si rifà al greco “aristos” (ottimo) e “locheia” (parto). Quanto a Mart & Zucc che probabilmente sono i suoi scopritori, sembrano quasi i nomi di un duo comico  tipo Gaspare e Zuzzurro.

Aristolochia gigantea
Aristolochia gigantea

Aristolochia

http://www.photomazza.com/?Aristolochia-gigantea&lang=it

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Dove siamo arrivati? Ah sì, terza in ordine di sceneggiatura arriva la Mimosa pudica, famiglia leguminose, fiori rosa, foglie “retrattili”; infatti appena viene sfiorata le tenere foglie di questa mimosa si chiudono con uno slow motion di grande effetto.

No, attenzione non è la timidezza, è solo un meccanismo di difesa della pianta che così disorienta gli animali che vogliono brucarla. Ma c’è un particolare ancora più insolito ovvero questa pianta ha la memoria è cioè in grado di ricordare. Esperimenti condotti anche da scienziati italiani hanno dimostrato che la pianta non chiude più le foglie se ricorda che un evento (tipo la caduta di una goccia d’acqua) non è pericoloso e questo anche a distanza di tempo: straordinario vero?

Mimosa pudica
Mimosa pudica

Mimosa Pudica

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Anche nei migliori sceneggiati ci sono episodi spiacevoli ed eccone uno; infatti sento un certo odore di carne in putrefazione. Guardo in giro e non riesco a capire da dove viene poi casualmente mi avvicino e mi dico  – No, non può essere lei! –

E invece sì è proprio lei questa pianta grassa di origina sudafricana che usa questo stratagemma per attirare le mosche. Si chiama Stapelia variegata  ed ha un bell’abito tigrato e una forma che la fa assomigliare ad una stella marina.  Anche lei ha acquistato in occidente una certa popolarità.  Ovviamente non è da tenere troppo vicino a casa per i suddetti motivi.

Stapelia variegata
Stapelia variegata

http://giardinonaiadi.blogspot.it/2013/03/stapelia-un-fior-di-carogna.html

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Cosa manca? In un giardino botanico non possono mancare le piante acquatiche, le bellissime ninfee che galleggiano sull’acqua con le loro foglie rotonde e i magnifici fiori che tante leggende hanno ispirato ma in una sceneggiatura ispirata a Fellini quella più giusta, quella che ha passato il casting è questa  la Euryale ferox originaria dell’Est dell’Africa, dell’ India e del sud della Cina  (anche stavolta abbiamo fatto il giro del mondo).

Lei è “ferox” perchè dotata di spine sia sulla parte superiore delle foglie sia (soprattutto) nella parte inferiore. Il bocciolo poi, se lo guardate bene sembra un piccolo mostro che spunta con la testa fuori dall’acqua.  E in effetti un po’ mostruoso lo è se pensate che non ha bisogno nè del vento nè di insetti per l’impollinazione: si feconda da solo (non chiedetemi i particolari).

http://giardinonaiadi.blogspot.it/2012/11/euryale-ferox-terribile-gorgone.html

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Bene la recita è finita, ovvero è solo all’inizio perchè questa è solo una minima parte del cast sconfinato di questo film che ogni giorno si gira all’Orto Botanico: regine, piccoli mostri, fanciulle timide, tacchini, putride stelle… un circo degno davvero del grande Federico.

Per chi vuole approfondire: http://www.ortobotanicopd.it/

 

 

 

 

 

 

 

 

ALL’ORTO BOTANICO

Orto botanico di Padova - piantina storica
Orto botanico di Padova – piantina storica

 

Mare, montagna, città d’arte… è il classico turismo che offre l’Italia (ed è già tanto).

Si aggiungano poi fenomeni degli ultimi tempi come il turismo in campagna associato all’aiuto  nelle varie attività come ad esempio la vendemmia, oppure i soggiorni nei conventi fino al più deprecato turismo delle disgrazie (altrui).

Consideriamo però per un attimo un altro tipo di turismo, ovvero il turismo botanico  (con una sola T, mi raccomando). 

Non è un fenomeno nuovo però  non si parte certo apposta per andare a vedere un “orto botanico”… oppure sì.

Nuove serre
Nuove serre

Intanto a me è capitato di perdermi un intero pomeriggio (o quasi) nell’orto botanico di una città pur ricca di altre attrazioni e cioè nell’Orto botanico di Padova. (più di 3.500 specie tra alberi secolari, piante carnivore, piante officinali e quelle velenose, autoctone e di ogni parte del mondo;  una parte antica e una serra nuova nuova con la vasca delle ninfee giganti che però non è ancora visitabile)

Per chi ha un occhio attento alla biodiversità è una visita obbligatoria: è come andare nel paese dei balocchi, salvo che poi non si esce con le orecchie lunghe, ma con gli occhi sgranati sì, e magari anche con la bocca aperta, tante sono le cose da osservare, ad ogni angolo con sorpresa sempre nuova.

Beh, del resto gli orti botanici li hanno fatti apposta!

Ninfee gigantiQuello di Padova è il più antico di tutti, risale infatti al 1545. Siamo in pieno Rinascimento  e le esplorazioni hanno ampliato i confini del mondo conosciuto dagli occidentali, la ricerca scientifica prende nuovo slancio dopo essere stata nel Medio Evo esclusiva degli stregoni.

I primi “orti botanici” nascono anche per mettere un po’ di ordine in tutte quelle erbe medicinali  utilizzate come rimedi “semplici” contro le malattie.

Da qui il nome di  “giardino dei semplici” di molti orti di questo tipo ( e pensare che io nella mia ignoranza credevo che i “semplici” fossero delle persone)

Cosa ho visto al Giardino botanico dell’Università di Padova?

Tantissime cose, ma devo ancora metabolazzarle; però prometto che scriverò su qualche pianta curiosa (o famosa): c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Intanto nell’ Hortus cintus ( detto anche Hortus concluso perchè è chiuso tutto all’interno di mura circolari) dei turisti stranieri stanno facendo foto con l’ i-pad.

Hortus cintus
Hortus cintus