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SULLA CRESTA DEL MONTE

Ecco, no, non siamo sulla cresta dell’onda ma è come se…

stiamo “surfando” sulla cresta del Monte Pizzelle nel Parco del Campo dei Fiori, poggiando i nostri piedi su queste pietre calcaree con gli occhi pieni di meraviglia per il panorama che si apre sulla pianura, sulle valli a nord e sulle montagne svizzere e laggiù in fondo fino al Lago Maggiore.

Stiamo camminando tra boschi di faggio e più sotto le cime arrotondate degli alberi con le giovani foglie verde tenero sembrano una soffice trapunta pronta ad accogliere i paracadutisti. Il vento ha portato via le ultime nubi e il cielo limpido esalta i colori della natura.

Ma noi non siamo venuti quassù solo per camminare. Dobbiamo incontrare dei vecchi amici che non vediamo da un anno, più o meno in quest’epoca.

Sono i fiori del Campo dei Fiori (e perchè si chiamerebbe così sennò?

I primi fiori che incontriamo sono quelli di un arbusto chiamato volgarmente Pero corvino (Amelanchier ovalis per gli sceinziati)

Il nome del genere, Amelanchier, è la latinizzazione dell’occitano orientale amelanquièr, termine derivato dal nome del frutto (la melanque), di origine ligustica (melanka), dal significato di “bacca nera”. Ovalis si riferisce invece alla forma delle foglie.

Amelanchier ovalis

E’ diffuso in Europa, Nord Africa e Medio Oriente.

Pianta poco comune. Cresce spontaneo nei boschi radi, sui pendii e anche su luoghi rocciosi. Predilige terreni calcarei, mentre per quanto riguarda luce e acqua non ha particolari necessità, ma comunque come quasi tutte le piante montane non resiste ad una accentuata siccità estiva. Sopporta molto bene il freddo e in Italia cresce fino a oltre 2000 metri di quota.

Più in basso, all’ombra dei faggi ecco le distese di Aglio ursino, praticamente tappezzanti in pendio e accanto la Dentaria ( Cardamine Heptaphylla) altre due piante amanti dei terreni calcarei.

Dentaria Heptaphyllis

L’aglio ursino è chiamato così perchè pare che fosse la prima pianta di cui gli orsi si cibavano al loro risveglio dal letargo. Qui di orsi in giro non se ne vedono da molto tempo. E allora ce lo godiamo noi visto che è commestibile e utilizzabile in cucina sia con il bulbo che con le foglie.

Aglio orsino

Che profumo ha l’aglio ursino ? Inutile dirlo ma passiamo a un altro profumo (e colore) quello della Dafne odorosa, stupenda su queste roccette dove accompagna alla Poligala dai vivaci colori giallo/violetti.

Dafne odorosa

E il narciso cosa fa? se ne sta poeticamente in disparte, forse sta inventando frasi romantiche nel caso passasse di qui qualche bella ragazza o un bel giovane,

Infatti è il Narciso dei poeti, pianta spontanea e “selvatica” niente a che vedere con quelli prosaici coltivati nei nostri giardini anche se la famiglia è la stessa.

Addio poeti, addio prati magri, roccette calcaree. Dobbiamo tornare alla base.

Ma il vento ci porta ancora echi del lago e sbuffi di nuvole leggere mentre ormai raggiungiamo le case del borgo.

MANGROVIA INVOLONTARIA

Va bene i cambiamenti climatici ma forse non siamo ancora arrivati a questo, non siamo ancora arrivati ad avere le mangrovie ad esempio sul delta del Po oppure nella Camargue.

La mangrovia è una formazione vegetale (o forestale) costituita da piante prevalentemente legnose, che si sviluppa sui litorali bassi delle coste marine tropicali, in particolare nella fascia periodicamente sommersa dalla marea.

La mangrovia non è una pianta di una sola specie, come si potrebbe pensare ma è formata da piante di diverse specie e famiglie che hanno come caratteristica quella di sopportare l’acqua salata o salmastra, si trovano spesso sulle coste vicino alle foci di fiumi in un ambiente nel quale acqua dolce e acqua salata si mischiano.

Ovviamente per sopravvivere utilizzano diversi accorgimenti tipo stare sui trampoli come le palafitte grazie a radici accessorie che sollevano il tronco oppure espellere l’acqua salata attraverso la traspirazione delle foglie, un po’ come le nostre lacrime.

C’è che divide l’ecosistema mangrovia in quattro fasce, da quella con piante sempre a mollo a quella sommersa regolarmente durante l’alta marea, dalla fascia sommersa solo raramente dall’acqua a quella completamente asciutta.

Caratteristica del terreno è comunque quella di essere sempre instabile, paludoso, quindi non proprio adatto per gli umani per viverci stabilmente, mentre altre specie di animali (insetti, rettili e uccelli) hanno saputo trovare il modo di abitare questo ambiente.

Le mangrovie sono presenti in tutti i continenti tranne l’Europa e si stima che coprano una superficie di circa 150.000 km. quadrati di cui la maggior parte in Asia.

Ma veniamo alle mangrovie nostrane. Dune di sabbia lungo i litorali o il delta del Po dove anche noi abbiamo piante che si adattano alla salinità dell’acqua come ad esempio il finocchio di mare (Crithmum maritimum) oppure il giglio di mare (Pancratium maritimum ) e la Calcatreppola, solo per citarne alcuni.

Sul delta del Po troviamo tra le altre la Salicornia e il Limonio due piante molto adattate alle acque salmastre.

Ma restando più vicini agli ambienti che frequento di solito ci sono a ben guardare alberi che se non al sale, si sono adattati bene in terreni periodicamente allagati: e il caso dell’ontano, dei pioppi, dei salici ed infine del cipresso calvo.

Cipresso calvo

E allora queste immagini del Ticino che allaga le sponde e si espande fino a sommergere alberi, accarezzare germogli, inzuppare erbe seccate dall’inverno rappresentano un normale fatto ricorrente, oserei dire una mangrovia d’acqua dolce.

BARBONE ADRIATICO

Certo, questa definizione non ve l’aspettavate. Io per primo ho stentato a crederci.

Perchè? Si possono distinguere i barboni di Venezia o a Ravenna da chi vive per strada a New York o Prigi? (a parte la lingua, o forse no la lingua non è una discriminante… e invece si, come capiremo più avanti)

Certo l’aspetto un po’ trasandato non depone a suo favore ma come molti altri nasconde un segreto, la sua nobile provenienza, infatti appartiene alla famiglia delle orchidee.

Ce le vedete le orchidee bivaccare sotto i ponti o i portici riparate dalla pioggia e dal vento sotto un cartone?

E infatti le orchidee, quelle tropicali vivono nella foresta, abbarbicate agli alberi e quelle nostrane nei prati di montagna e qualche volta anche in pianura e così anche il nostro Barbone adriatico (ovvero Himantoglossum adriaticum) vive nei prati di mezza collina dove non ha bisogno di uno specchio o di un pettine per farsi bello e dall’Adriatico si sposta (come un senza fissa dimora) ed oggi lo possiamo incontrare in quasi tutte le regioni d’Italia tranne la Val d’Aosta, la Puglia e le isole.

Lo possiamo riconoscere per il fiore ha un lunghissmo labello nastriforme simile ha una cinghia, dal greco Himantos (cinghia), Anthos (fiore) e glossum (lingua). Ed è propria questo particolare che gli ha fatto guadagnare il nome volgare di “barbone”.

E’ una pianta perenne dotata di un bulbo che fiorisce ogni anno tra aprile e luglio fino ad una altezza di 1.800 slm con fusti che raggiungono anche gli 80 cm.

H. adriaticum vegeta preferibilmente in ambienti aperti, in particolare prati magri, spesso con roccia affiorante, ai margini di boschi o arbusteti aperti, sempre su suoli calcarei o calcareo-dolomitici e soprattutto particolarmente aridi. 

Si ritrova, inoltre, in ambienti antropizzati come bordi stradali, aree agricole dismesse, frutteti abbandonati. (ai margini, insomma)

Spesso viaggia anche all’estero ( Vienna, Praga, Budapest, Belgrado e zone limitrofe) dove non ha bisogno di documenti di identità o certificati di residenza.

E’ una specie protetta dalla “Direttiva Habitat” allegati II e IV della Comunità europea, quindi quando li vediamo non dobbiamo fargli del male.

Del resto cosa sarebbe il nostro habitat urbano senza un barbone (adriatico) ?

AZALEA

Già. So che non ci crederete ma lo spunto per parlare di questo fiore mi è arrivato da un canale davvero insolito, un gruppo di rock indipendente coreano formato da quattro giovani donne le “Rolling Quartz”.

In effetti questo fiore è originario di quelle parti (Cina e Giappone compresi) anche se ormai fa parte del nostro orizzonte botanico. L’azalea è infatti presente in quasi tutti i giardini pubblici e privati d’Italia e d’Europa ma….

Azalea è conosciuta in Occidente fin dall’antichità, Plinio il Vecchio riferisce di un caso di avvelenamento di soldati romani dopo aver ingerito fiori di Azalea.

Esistono poi molte leggende su questo fiore.

Dalla donna coreana che scorge un’azalea su un dirupo e un uomo gentile si arrampica per regalargliela assieme a una poesia (siamo nell’antico regno di Seongdeok Daewang) alle dieci figlie del principe indiano dalla pelle pallida che prima si trasformano in colombe e poi ancora rinascono come splendidi fiori di azalea.

Poi arriva Linneo e ci toglie tutta la poesia ( o quasi) intanto per incominciare le classifica nel genere Rhododendron (come i rododendri che però hanno foglie e fiori più grandi) e lo fa infischiandosene dei greci che attribuivano questo nome agli oleandri, infatti rhododendron significa “albero delle rose”.

Poi scopriamo che l’azalea appartiene alle “Ericaceae” : azaleos in greco significa disseccato. Questo è dovuto ad un’altra caratteristica dell’azalea che mantiene i fiori a lungo sulla pianta anche quando sono sfioriti (seccati, appunto)

Pianta acidofila per eccellenza l’azalea può essere coltivata in vaso o in piena terra stando attenti che però il terreno si mantenga con un buon grado di acidità (per questo alcuni suggeriscono di innaffiarla con acqua piovana).

Diffusissima nei nostri giardini l’azalea è ormai entrata anche nei nostri cuori perchè è diventato universalmente il fiore dell’amore , della femminilità e della tenerezza. Rappresenta specie nei paesi orientali l’amore materno, ecco perchè spesso viene regalato in occasione della “Festa della mamma“.

Ecco allora alla fine cosa centrano le Rolling Quartz: il loro brano Azalea è una struggente storia d’amore (non so il coreano; è quello che penso di aver capito con il traduttore anche se spesso sbaglia).

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CINERARIA MARITIMA

Oh, anche stavolta gli inglesi sono stati più eleganti chiamandola Polvere d’argento (Silverdust).

Da noi invece è scattato subito il parallelo con il colore della cenere ( a Londra invece non ci hanno pensato perchè il colore predominante e quello del famoso fumo)

Ma gli italiani ci hanno messo forse anche un po’ di malizia (o di saggezza) … ricordati che sei cenere….

Va beh, chiamatela con il colore che volete, resta il fatto che questa asteracea è davvero grazioso, con queste foglie vellutate, coriacee e molto frastagliate e quei fiori gialli come il sole che fanno capolino tra maggio e agosto in mezzo alle altre piante nella aiuole dove l’abbiamo confinata. 

Si perchè la Cineraria (chiamata anche Jacobea) maritima qui sulle sponde del lago non si trova male, ma preferisce nettamente il mare, dove cresce spontaneamente sui costoni rocciosi in Sardegna e nelle regioni Tirreniche.

E’una pianta che sopporta bene la salsedine e la siccità e allo stato spontaneo è una pianta perenne mentre viene coltivata come annuale.

Ma questa pianta ha altre qualità nascoste, anzi no, visto che da tempo sono conosciute le sue proprietà lenitive, decongestionanti e antinfiammatorie e viene usata soprattutto come collirio nel trattamento di parecchi problemi della vista come affaticamento, ipersensibilità, infiammazioni e congiuntiviti.

Ogni altro uso è sconsigliato poichè la pianta è tossica. Già Paracelso lo aveva capito e quindi è bene ricordare che ogni medicina è anche veleno se utilizzata nelle quantità sbagliate.

IL VALZER DELL’ ENOTERA

Sarebbe più giusto dire delle Enothere, ma questo ve lo spiego dopo.

Perchè prima mi preme raccontarvi la bellezza di uscire un pomeriggio grigio d’inverno, quando sarebbe più logico starsene a casa al caldo invece di aggirarsi per lande desolate.

Desolate solo in apparenza.

Non fa freddo è vero, o almeno non quanto ci immaginavamo e le folaghe si fanno notare come al solito con il loro verso acuto e secco ma non solo le sole presenze in questi stagni.

In lontananza ma a tiro di binocolo ecco le Alzavole, abitatrici dell’inverno boreale. Le timidissime Gallinelle d’acqua se ne scappano correndo sull’acqua da un canneto all’altro e i Tuffetti… si tuffano in queste acque grigie e oggi invero poco attraenti.

Ma lo spettacolo vero e proprio è in cielo dove gli Storni in grandi gruppi disegnano geometrie cangianti nell’aria come opere d’arte effimere e stormi di centinaia di fringuelli fuggono in massa dai nostri passi come foglie spazzate via da una folata di vento.

Le cannucce di palude e le tiphe ovviamente sono ormai tutte secche e anche i pioppi italici che fanno da sfondo sono ormai nudi, solo qualche esemplare di Olmo (Ulmus minor) trattiene ancora sui rami delle foglie verdi e gialle.

E quegli stecchi con delle capsule di semi ormai aperte e vuote?

Non ci credereste mai ma sono l’ultima stagione della vita della Oenothera biennis. Una vita breve in verità che inizia con una rosetta di foglie lanceolate appressate al terreno e poi si sviluppa il secondo anno con questo lungo stelo in cima al quale sboccia un fiore dai petali gialli e dal delicato profumo di limone.

Enothera biennis

Ecco è come incontrare una vecchia signora e immaginare di come era in gioventù.

Vogliamo provare?

Dei fiori gialli abbiamo detto ma forse non abbiamo parlato della sua importanza per la medicina, non abbiamo parlato della sua famiglia (Le onagracee) e delle sue sorelle e cugine.

Le Onagracee (Onagraceae Juss., 1789) sono una famiglia di piante appartenente all’ordine Myrtales a portamento prevalentemente arbustivo o erbaceo.Della famiglia fanno parte 660 specie, ripartire tra 21 diversi generi e dalla distribuzione cosmopolita
Il nome della famiglia deriva da quello del genere Onagra (oggi incluso in Oenothera L.), descritto per la prima volta nel 1754 dal botanico scozzese Philip Miller.

Sono specie anche molto diverse tra loro come ad esempio la Fuchsia, pianta di origine centro/sud americana da noi solo coltivata oppure l’Epilobium angustifolium ampiamente diffuso nelle zone umide e lungo i torrenti di montagna.

Epilobium angustifolium

Ma se vogliamo restringere il campo al genere Oenothera ecco che possiamo parlare non solo della biennis, spontanea e molto diffusa, ma anche di altre specie diventate in maggior parte ornamentali e coltivate come ad esempio la Oenothera speciosa, la rosea, la macrocarpa, la tetraptera.

Tutte piante dai fiori bellissimi e delicati ma la Biennis ha una marcia in più, infatti è anche medicinale: dai suoi semi maturi si estrae un olio che usato come integratore alimentare è indicato nel trattamento della sindrome premestruale, della dermatite atopica, artrite reumatoide, sintomi della menopausa, diabete e anche delle malattie coronariche.

Per quasi tutto, si direbbe, ma ATTENZIONE, solo dietro consiglio medico.

AIUOLA MESSICANA

Ah, eccoci qui in questa piazza, anzi no aiuola messicana. Un’aiuola naif, un po’ selvaggia di quelle che piacciono tanto a Gilles Clément.

Immaginate che sia un giorno di festa e la piazza si riempia di tante persone di tante provenienze diverse che parlano tra loro, magari si scambiano, informazioni, fanno affari, si godono l’ultimo sole.

Ecco, li in un angolo, come spesso succede alle minoranze, vedo un gruppo di messicane, di piante messicane…

Infatti le zinnie gialle, arancio, rosa, crema, stanno amabilmente conversando con i Cosmos, altra pianta messicana. E poi è arrivato, con il suo lungo naso, Amaranto, il cugino peruviano.

Poco più in disparte notiamo un Garofano indiano (tagetes) che è indiano come possono esserlo i Pellerossa (o nativi americani) visto che anche lui è originario di quelle parti anche se quel “turbante” arancione fa venire un sospetto: non sarà anche lui un seguace di Krisna ?

Garofano indiano (Tagetes) e Cosmos

Bella questa piazza, variopinta (colorfull, direbbero gli anglofoni) pittoresca, ovvero dipinta dalla natura, ovvero da chi ha sparso quelle sementi e dal caso che poi le ha fatte crescere in quel modo spettinato ma tanto spontaneo.

Myosotis alpestris

Ecco però che nella piazza/aiuola messicana arrivano due intrusi: uno ha un cappello da alpino anche se adesso de lo è tolto e ci guarda con quei suoi meravigliosi occhi azzurri (è un Myosotis alpestris ) l’altra è l’erba viperina (Echium vulgare) dal caratteristico fiore bicolore e dagli stami rosso fuoco, come una lingua biforcuta.

E infatti cosa ci fa lei qui, lei che è una pianta spontanea nei prati e nelle strade di campagna? Cosa ci fa lei in città?

Forse l’avrà portata un uomo, o una donna, oppure il vento, quel vento che tra poco porterà lontano da qui i suoi semi e anche quelli delle messicane.

Allora la piazza si svuoterà di voci, di grida, di colori e anche le api e le formiche se ne staranno rintanate in attesa della primavera.