Se fosse stato un articolo di cronaca nera poteva anche intitolarsi “Tramonto di sangue” ma non è questo il caso.
Potremmo usare un’altra espressione consumata dall’uso ovvero “tramonto di fuoco”, il cielo sta bruciando ovvero “is on fire” come direbbe Bruce Springsteen (e non solo lui) ma è un fuoco metafisico, non come quello londinese immortalato da Turner o quello più recente dell’incendio della cattedrale di Notre-Dame a Parigi.
E’ un desiderio che brucia come il cielo di stasera, che risveglia passioni e malinconie crepuscolari mentre si palesa sullo sfondo la sagoma bruna del Monte Rosa.
Manca l’acqua ma lo skyline di alberi spogli e di campanili è uno di quegli spettacoli difficile da dimenticare.
Però è vero, come ha detto qualcuno: “Per fare un bel tramonto ci vogliono le nuvole”.
Alessandro Faraggiana (1876-1961) di nobile famiglia Novarese aveva la passione per quella che veniva definita “caccia grossa” e per le esplorazioni: una moda nella borghesia di fine ottocento sull’onda lunga dei grandi esploratori in Asia, nelle foreste del Congo e nella regione africana dei grandi laghi. Come il Dott. Livingston, suppongo!
Questa passione sostenuta “da casa” dalla madre Catherine Faraggiana Ferrandi con la creazione di un piccolo zoo e di un museo nel parco della Villa di Meina creano le premesse per il nucleo storico di quello che dal 1959 è diventato nell’ex palazzo di famiglia a Novara il Museo di Storia Naturale Faraggiana Ferrandi con ben 2500 esemplari dei quali oltre 450 esposti.
E’ possibile così, in pieno centro cittadino immergersi nelle foreste equatoriali, nei deserti dell’Asia, ammirare le scogliere artiche e l’alba nella savana, ascoltare i richiami degli animali e credere per un attimo di trovarsi davvero lì osservando un ghepardo che insegue un’antilope come in un fermo immagine di un documentario in 3D. (Tanto è il realismo che restituiscono gli animali impagliati).
Alla collezione zoologica ha dato poi impulso quella etnografica grazie ad un’altra figura centrale in questa vicenda: quella di Ugo Ferrandi
A questo punto, siamo ormai nel XXI secolo arriva in questo posto un artista italiano che vive da tempo a New York (quasi un apolide, potremmo dire, di quegli apolidi che si guadagnano questo titolo grazie alle loro opere pubbliche, sparse in quasi tutto il mondo e che lavorano molto su commissione come potevano fare a suo tempo personaggi come Leonardo da Vinci o Michelangelo (non è un paragone: è solo un esempio)
Francesco Simeti, studia il museo e gli animali che lo guardano muti, con occhi di vetro e gli ambienti ricostruiti nel museo, nella grande sala della Savana africana e crea grandi pannelli, dapprima pensati su ceramica, poi, per non danneggiare le strutture dell’edificio storico, sceglie come supporto un PVC perforato così che sembra di guardare degli arazzi.
In fondo al cortile principale di Palazzo Faraggiana, dal quale si gode una vista prospettica particolare del campanile e della Cupola antonelliana della basilica di S. Gaudenzio ecco allora apparire un mondo affascinante di forme e di colori dove le farfalle tropicali si alternano alle orchidee e agli armadilli, dove le tigri sbucano dal fitto fogliame e le scimmie sono classicamente aggrappate alle liane.
Il soggetto , i soggetti, sono gli stessi osservabili all’interno del museo qui però cambia la sensibilità. Se la collezione storica descrive un’epoca di collezionismo e di trofei (tipiche le foto scattate a cavallo della preda appena abbattuta) quando il principio di conservazione delle specie era ancora sconosciuto, le grandi “vele” di Francesco Simeti” sono un trionfo di biodiversità, un inno alla bellezza, un grido e un monito perchè questa non vada perduta.
No, non siamo a Pisa. Con la sua torre inclinata, il battistero e il prato pieno di turisti, quel prato che D’Annunzio, con il suo vizio di dare nomi nuovi ai posti che visitava definì nel 1910 “dei miracoli”
Siamo in un posto molto più umile, un posto che forse neanche Pinocchio si sarebbe immaginato.
Qui i zecchini non crescono, e forse neanche altre valute… o forse sì.
E’ una splendida mattina d’inverno. Fredda ma non troppo con una leggera bruma che si stende nella parte bassa dell’aria a contatto con i campi: all’orizzonte le sagome del campanile e delle prima case del paese.
Tutto normale vero?
E invece quello che mi colpisce sono lunghe file di zucche napoletane che ancora giacciono a terra su corridoi di teli neri.
Il posto ha tutto l’aspetto di quelli che adesso vengono definiti “orti urbani” ma perchè le zucche non sono state raccolte? Forse chi le ha piantate si è ammalato o magari nel frattempo è morto?
E perchè gli abitanti delle case vicine non le hanno toccate?
Non lo saprò mai ma mi piace pensare che sia per una forma di rispetto (disinteresse o ignoranza no, non può essere: queste zucche sono molto buone)
Molte delle zucche rimaste a terra, sono vuote, ridotte solo alla buccia, svuotate come zucche di Halloween, altre sono piene, la polpa gelata che ancora racchiude i semi.
Eccola qui la vera ricchezza di questo campo, che non avrà monumenti famosissimi e pendenti come quello di Pisa, che gatti e forse volpi hanno frequentato ma senza burattini con la dote, ma che a primavera vedrà rinnovarsi il miracolo di nuove piante di zucca nate dai semi delle zucche non raccolte.
Una ricchezza che l’uomo che le ha piantate ha donato all’umanità.
Non ho mai negato (con falsa modestia) che l’ispirazione per questi racconti derivi da “Poeta en Nueva York ” di Garcia Lorca :
“Assassinato dal cielo, tra le forme che vanno verso la serpe e le forme che cercano il cristallo lascerò crescere i miei capelli…”
Quel senso di inquietudine e allo stesso tempo di consapevolezza per la condizione umana, o forse solo della sua personale, assieme allo stupore per l’ambiente che sta attraversando non è facile da ricreare.
In questa mattina fredda quale sarà la direzione? E’ quella della scia bianca dell’aereo o quella del ramo contorto come un serpente? E dov’è il cristallo?
La natura qui è ancora viva per piccoli segni. Ancora ci sono foglie verdi di castagno, raro in questa zona, altre secche si alternano a quelle di quercia rossa all’ingresso del sentiero nel bosco.
Sono a pochi passi dalle ultime case del paese ma la civiltà è lontana come l’aereo che passa ancora alto sulla mia testa. E’ lo stesso di prima? No, è un altro.
Mi aiuta a guardare verso il cielo, verso quel cielo che vuole assassinarmi ma ancora non ci riesce perchè io resisto come quegli alberi abbracciati mortalmente dall’edera che ancora non si arrendono.
Anche se non sono a Nuova York lo so che forse a nessuno importa di queste lenti secche di Lunaria, dei rami “rasta” di questo Kaki.
No, però in fondo qualcuno ci sarà; non voglio essere così pessimista come Federico quando disse della Grande Mela:
Un esercito di finestre dove non c’era una sola persona che avesse il tempo di guardare una nuvola”
Rosa e arancione sono due colori ma in questo caso il primo è anche un fiore. La rosa arancione non esiste da molto tempo.
La rosa è un fiore dell’Asia e dell’Europa. Se ne stima l’esistenza in origine di circa 150 specie, ma le tecniche di ibridazione sviluppate negli anni hanno portato alla creazione di varietà che superano anche i 2000 esemplari. Vengono classificate in base alla forma, alle foglie, ai colori e al profumo.
La rosa sembra essere la pianta più antica coltivata ad uso decorativo. Alcuni archeologi hanno scoperto fossili di rose risalenti a 35 milioni di anni fa!
Esistono in natura molte specie di rose alcune delle quali derivano da ibridazioni di rose diverse. In particolare dagli incroci tra Rosa gallica e Rosa indica var. fragrans si ottennero nel 1840 gli ibridi della rosa arancione, che andarono a sostituire in breve tempo le varietà fino ad allora coltivate, con fiori grandi e pieni, rami lunghi e forti con grosse spine.
Sempre nei primi anni dell’Ottocento, un ibridatore incrociò una R. indica e R. gallica e da questo incrocio si originò la R. borbonica, anch’essa di colore arancione oggi scomparsa. Questa era una pianta vigorosa, resistente al freddo, con rami poco spinosi, fiori grandi appiattiti, con petali più corti al centro e più grandi fuori.
Essa è molto coltivata e di conseguenza venduta, causa del suo significato, infatti simboleggia il fascino e l’eleganza della donna. donare questo fiore alla persona giusta è davvero una cosa importante (https://www.leicasa.it/fiori/)
I principali messaggi che trasmetterai a una persona se decidi di regalarle rose di color arancione, qualsiasi sia la tonalità del colore, sono i seguenti:
Appoggio: è il regalo perfetto per persone che stanno passando un brutto momento. Se vuoi dimostrare il tuo appoggio… regala rose arancioni!
Felicità: se vuoi dimostrare quanto sei felice con una persona, che sia un amico, un familiare, un collega di lavoro o un partner, puoi scegliere di regalare rose arancioni.
Gratitudine: se vuoi ringraziare una persona per qualsiasi cosa che abbia fatto per te, le rose arancioni sono un buon regalo perché sono in grado di trasmettere messaggi di gratitudine tramite il loro colore.
Stato d’animo positivo: se vuoi dimostrare lo stato d’animo positivo che hai grazie alle azioni di un’altra persona, puoi sempre regalarle rose di color arancione. Sicuramente lo capirà!
Passione e preoccupazione: le rose di color arancione inviano messaggi di passione ma con una certa preoccupazione. Questo si deve anche al suo colore, perché lo stesso tipo di fiore ma in un altro colore, ad esempio la rosa rossa, è un simbolo di passione e amore. (da https://www.verdissimo.com/it/notizie/significato-delle-rose-arancioni)
Da molto tempo nel mio giardino c’è una bellissima rosa arancione, una rosa che fiorisce anche adesso nel mese di Novembre (no, non sono solo i cambiamenti climatici, le rose possono avere una doppia fioritura).
Ho anche provato a regalarla un tempo a una ragazza che da allora non ho più rivisto. Chissà se avrà deciso così dopo aver letto i vari significati della rosa arancione e poi chi è stato il primo ad attribuire un significato ai colori delle rose?
L’uso di attribuire un significato a fiori e piante risale all’antichità, ma è nel 1700 circa che l’interesse per questo linguaggio accresce, anche come mezzo per esprimere e comunicare emozioni. In quel periodo nascono dizionari dedicati e libri illustrati con incisioni e litografie dedicati ai significati delle varie piante tra cui appunto i colori delle rose. https://www.veggiechannel.com/natura/ambiente/significato-dei-colori-delle-rose/
O io ho sbagliato colore o lei ha letto male o forse ancora non conosceva il significato dei fiori (anche se ci credo poco).
Sia come sia, non saprò mai se ero la persona giusta per lei.
E’ uno di quegli incontri che si fanno solo una volta nella vita e quella volta a me è capitata un paio di giorni fa quando scendendo da un cavalcavia vedo una casetta che si muove sulla strada (si all’inizio vedo solo la casetta) una casetta simile a quelle di plastica circa 1×1 metri che si regalano ai bambini per i loro giochi.
Poi, avvicinandomi vedo anche le ruote e poi un uomo barba e capelli lunghi, cappello in testa e camicia bianca che spinge sui pedali di una bici tirandosi dietro questo trabiccolo.
Lui è Carlos, spagnolo di Malaga, 50 anni, da 14 anni in giro per il mondo con la sua roulotte in miniatura dopo la morte della moglie.
Buenas dias, inizio, cercando nella memoria le poche parole di spagnolo che conosco. (ma scopro poi che conosce anche il francese e l’inglese)
Lui si ferma volentieri a parlare con me a spiegarmi tutti i paesi che ha attraversato. (67 o forse più e poi chi lo ferma alle frontiere? )
Inutile chiedergli dove è diretto o di cosa campa anche se un piccolo box a forma di cuore (come l’heart-shaped box dei Nirvana) fa bella mostra di sè su un lato della casetta
La casetta però non è un giocattolo: motorino elettrico alimentato da pannelli solari e a volte anche da una pala eolica per le luci di posizione e forse per la pedalata assistita. Una casetta che, a giudicare dalle foto che sono sul web, subisce costanti trasformazioni.
Certo, per quasi tutti noi è una scelta estrema, essere libero, non avere impegni o obblighi sociali, non avere relazioni, affetti, radici. Sopportare la solitudine per coltivare un progetto di vita che ha come obiettivo di conoscere davvero il mondo…
Buona fortuna Carlos! Detto da un sedentario a un giramondo e non so chi ne ha più bisogno.
Wow! E adesso che foto metto ? Quelle dove sfila in passerella o quella da bambina con il bidone dell’acqua sul capo? Quelle di un servizio fotografico o quelle dove lei fa scavare pozzi d’acqua per il suo villaggio?
Lei è Georgie. Sì ma non una Georgie qualsiasi bensì Gerogie Badiel. Miss Burkina Faso nel 2003 e Miss Africa del 2004.
Il Burkina Fasu, è l’ex colonia francese dell’Alto Volta, un paese molto povero dell’Africa occidentale, senza sbocco sul mare e compreso nella fascia del Sahel appena sotto il Sahara dove il deserto sta avanzando.
E’ un paese dove gli uomini fanno la guerra e le donne devono pensare all’acqua. Tutte, anche le più piccole.
E allora Georgie bambina si sveglia alle sei ogni mattina e cammina per ore per andare al pozzo tornare con una tanica d’acqua portata sulla testa e ogni volta chiede alla nonna : “Perchè l’acqua è così lontana?“
L’acqua in questo come in altri paesi africani è un bene prezioso perchè molto scarso. Tanto per darvi un termine di paragone pensate che mediamente nei paesi occidentali ogni persona consuma 150 litri di acqua al giorno. L’organizzazione mondiale della sanità OMS ha fissato in 15/20 litri il fabbisogno minimo giornaliero in situazioni di emergenza e in 7 litri la quantità di sopravvivenza sostenibile solo per pochi giorni.
Bene in alcune zone del Burkina Fasu sono costretti a viver con solo 3 litri al giorno per persona. (impossibile usarla per lavare i vestiti o per l’igiene personale).
Ecco allora queste file di donne che camminano per ore sotto il sole con la loro tanica in testa e nel tragitto capita che vengano aggredite, stuprate, attaccate da animali selvatici.
Cosa poteva fare Georgie , diventata una modella famosa?
Ecco, pensare alla sua infanzia, a tutte quelle donne e alle loro fatiche quotidiane.
Così ha creato una Fondazione che ha scavato pozzi che oggi assicurano acqua potabile a 300.000 mila persone e finanziato progetti di formazione per ingegneri idraulici e corsi di igiene per migliaia di bambini.
Non riesco a immaginare la gioia di queste donne quando hanno visto sgorgare l’acqua dal nuovo pozzo così come non riesco a rendermi davvero conto di quanto l’acqua sia preziosa, abituato, come tutti, ad avere l’acqua semplicemente aprendo il rubinetto.
Ma i cambiamenti climatici stanno mettendo in seria discussione le nostre abitudini, gli sprechi e l’inquinamento delle acque e cominciano a farci capire che l’acqua non sarà più cosi facilmente disponibile soprattutto adesso che siamo nel pieno della peggiore siccità degli ultimi 70 anni.
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Forse anche noi, qui, abbiamo bisogno di una principessa dell’acqua che ci insegni ad usarla.