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IL BOSCO RICAMATO

Giuro che questa non la sapevo.

Si può andare nel bosco per fare una passeggiata, per ascoltare il canto degli uccelli, per raccogliere legna o funghi ma a ricamare?

No, non si tratta di gruppi di persone (donne anziane, secondo la tradizione) che si incontrano nel bosco, al fresco e ricamano.

No, qui non serve ago e filo ma solo lo stupore per osservare di cosa è capace la natura.

Così possiamo aprire questa galleria con un delicato ricamo di muschio sul tronco nudo di un albero caduto, oppure con i ventagli del Trametes versicolor o Coda di Tacchino (un fungo dalle proprietà medicinali che cresce sul legno morto)

Passiamo poi a un centrino creato da un lichene foglioso, la Parmelia,

sempre su tronco di legno morto e a un trapuntino di muschio del presepe (Hypnum cupressifome) con funghetti (non sott’olio)

Se vogliamo poi fare un rapido ripasso dei punti da ricamo troviamo il punto Edera, il punto Pervinca e il punto Vite vergine su terreno di bosco, soffice e profumato mentre il bosco ormai si prepara all’inverno.

AZOLLA MAGGIORE

Restare a galla, anche nei momenti più difficili, anche quando tutti ti hanno abbandonato, quando le onde sono molto alte e la terra lontana, non è mai semplice, ma le piante si sa, hanno molte risorse, dalle lenticchie, alle castagne d’acqua fino alle ninfee, solo per citarne alcune, questa capacità è forse una delle prime sviluppate dagli esseri viventi su questo pianeta se è vero che la vita è iniziata dall’acqua, dalle alghe unicellulari.

Così non è troppo sorprendente che tra le piante galleggianti ci siano anche le felci che sono una famiglia vegetale preistorica: si tratta della Azolla Filiculoides ovvero Azolla Maggiore una pianta originaria del continente americano dalla fascia subtropicale fino al Nord America

Magari quello che sorprende è vederla qui, nel Parco del Ticino dove è arrivata scappando dagli acquari (come spesso accade) ma in fondo qui ci sono molti ambienti che si avvicinano al suo habitat.

Infatti è una felce acquatica galleggiante che si riviene in stagni, fossi,
zone umide, canneti, canali e corsi d’acqua con acque lente. cresce di solito in climi compresi tra i 15-20°C , tuttavia è indicata come la specie di Azolla più resistente al gelo e può sopravvive anche a -10°/ -15°C.

In pieno sole o in inverno la felce assume una colorazione rossastra., grazie alla simbiosi con il cianobatterio Anabaena azollae.

L’abbiamo incontrata in questo tratto del Naviglio Grande appena a valle della diga a panconcelli che segna l’inizio del vecchio alveo del naviglio ora trasformatosi in una preziosa zona umida.

Ma abbiamo scoperta è presente un po’ a macchia di leopardo in tutte le regioni d’Italia e in diversi paesi europei. In Lombardia è classificata come specie invasiva.

Azolla filiculoides è in grado di crescere rapidamente in condizioni
ottimali, raddoppiando la sua superficie in 7-10 giorni o la sua biomassa in meno di 4 giorni. La riproduzione vegetativa avviene per frammentazione delle fronde ed è favorita da diversi fattori come la temperatura, la luce, la ricchezza di nutrienti nell’acqua.

Ma comunque non è solo colpa sua, lei fa il suo mestiere, piuttosto la sua diffusione , oltre che ai fini ornamentali, è stata favorita anche dall’uso come fertilizzante nelle risaie per fa sua capacità di fissare l’azoto nel terreno.

E allora cosa ce ne faremo di questo altro alieno?

PAESAGGIO MOSSO

Va bene, stavolta non voglio tenervi sulle spine e dirò subito che il titolo di questo articolo prende ispirazione dal nome del muschio in inglese cioè “moss”.

Detto ciò oltre al muschio l’ambiente che andremo ad esplorare presenta molte altre caratteristiche peculiari che a chi di voi è mosso da curiosità non lasceranno indifferenti.

Partiamo dalla natura del terreno che è composta da sassi e da materiale grossolano di origine fluvio-glaciale e fondamentalmente acido. E’ un terreno a tratti formato da collinette e avvallamenti irregolari (si vede bene che qui dopo il ghiacciaio ha lavorato anche il fiume, fiume che adesso si è spostato un po’ più in là.

Ah ecco un’altra ragione per cui questo paesaggio è “mosso”.

La vegetazione vede la presenza di pini silvestri e farnie (Quercus robur), querce che a causa della magrezza e dell’acidità del suolo non si sviluppano in tutta la loro maestosità ma assumono un aspetto contorto e si mantengono di solito su una piccola taglia.

La cosa più sorprendente però in un ambiente con scarsa acqua superficiale (una dry land) è la grande quantità e varietà di muschi e licheni, soggetti dalla struttura elementare (o muschi appartengono alla famiglia delle Briofite, mentre i licheni sono l’unione di un fungo con un’alga) ma che sono molto antichi e probabilmente hanno guardato negli occhi i dinosauri.

Hypnum cupressiforme

Forse anche quelli incontrati oggi hanno centinaia di anni, infatti i muschi si sviluppano con poca umidità e quando non piove si seccano ma non muoiono, e anche i licheni hanno una vita così lunga e una notevole capacità di assorbire gli inquinanti che è possibile studiarli per capire la qualità dell’aria attraverso i decenni, se non i secoli.

Ecco, forse non sono riuscito a spiegarvi perchè anche questo ambiente in apparenza poco ospitale per la vita abbia una grande importanza ecologica e contribuisca in maniera importante alla biodiversità: quante specie di muschi e di licheni esistono?

Migliaia.

E quelli presenti in questa area sono solo una piccola parte.

Vi faccio qualche nome? Ma sì, anche se può essere che qualcuno non l’ho azzeccato.

IL Muschio di quercia o muschio bianco è in realtà un lichene che si chiama Evernia prunastri molto presente qui ma anche molto secco visto che da mesi non piove, in questo ambiente cresce sul terreno a differenza della Parmelia sulcata che troviamo sulla corteccia delle querce.

Muschi e licheni vivono insieme su terreno, cortecce, sassi, formano distese ampie, a volte frammentate e ogni tanto qualcuno si distingue dagli altri come ad esempio il Dicranum scoparium ovvero Muschio di ginestra che forma delle palle molto fitte e compatte.

Ma quello più famoso di tutti è l’Hypnum cupressiforme: molto frequente su alberi, pietre e rocce, questo muschio è praticamente onnipresente in Italia. E’ anche conosciuto come muschio dei presepi.

E qui, non proprio come un presepe, oltre al grufolare notturno dei cinghiali può capitare che vengano a brucare i caprioli.

COLLEZIONI DI MUSCHIO

C’è qualcuno che si chiama Muschio in Italia? (non lo so ma poi vado a vedere). Certamente ci sono molti nei paesi anglosassoni che si chiamano Moss (muschio) come ad esempio Stirling Moss, pilota automobilistico oppure Kate Moss, modella e stilista e se voi seguite la serie televisiva “Beautiful” saprete sicuramente chi è Ronn Moss.

E se c’è il sig. Moss ci sarà immagino anche una signora Mossa (che però si è trasferita a Napoli e ha preso in nome di Ninì Tirabusciò)

Va beh però il signore e la signora Muschio sono internazionali e diffusi “all over the world”. Fanno parte della grande famiglia delle Bryophite; sono esseri vegetali un po’ più evoluti delle alghe e dei licheni e un po’ meno delle felci.

Sono vagabondi, infatti non hanno delle vere e proprie radici, ma si attaccano a qualsiasi superficie utile (tronchi di alberi, terreni aridi o paludosi, sassi, ferro, cemento…

Non hanno sangue blu, (e neanche rosso) nel senso che non sono piante vascolari, non hanno vasi dove scorre la linfa; non hanno neanche tronchi o foglie come siamo abituati a distinguerli in piante superiori.

Non hanno nemmeno sesso, ovvero ne hanno molti ( il loro meccanismo di riproduzione è abbastanza complesso con organi che contengono le spore e altri adatti a riceverle (vedere qui per i particolari)

E sono proprie questi, assieme alle forme che assumono le parti “verdi” che ci aiutano a distinguere le specie di muschio che altrimenti ci sembrerebbero tutte uguali.

Si stima che esistano più di 15.000 specie di muschio in natura.

Ho provato a vedere se riconosco qualche specie ed eccone alcune:

  • Polytricum formosum: tipico dei boschi di castagno, forma delle piccole piantine dalla forma a stella, facilmente riconoscibili. È decisamente diffuso su gran parte del territorio dello Stivale; è un muschio “capellone” (polytricum = con tanti capelli) ma non è “figlio dei fiori” anche perchè lui è venuto prima e quindi semmai il contrario. Si può chiamare anche muschio stellato.
Muschio stellato e cupressiforme

Polytricum

  • Hypnum cupressiforme: molto frequente su alberi, pietre e rocce, questo muschio è praticamente onnipresente in Italia. Tende a formare dei cuscinetti morbidi ed estesi ed è molto efficace nel trattenere l’acqua e quindi impedire il dilavamento del terreno. Toccarlo con mano o, se preferite, sentire la sua morbidezza a piedi nudi, darà la tipica sensazione di velluto. Le sue “foglie” a punta ricordano la forma dei cipressi.
Hypnum cupressiforme

  • Mnium hornum: tipico muschio che ama l’ombra, è praticamente onnipresente alla base degli alberi. Gli inglesi lo chiamano Swan’s neck (collo di cigno) probabilmente per la forma dei suoi sporofiti o anche Thyme moss (muschio di Timo) È inoltre una delle varietà più frequentemente raccolte per i presepi. (da greenstyle.it)
Mnium hornum
  • Dicranum scoparium ovvero Muschio di ginestra , forma spesso delle palle dalla consistenza meno fitta di altri muschi con “capelli” spesso ripiegati su un lato. Con la ginestra in verità ha in comune sono il discorso della scopa, infatti gli anglofoni lo chiamano anche Broom Moss o Mood moss (muschio dell’umore, ma qui devo ancora andare a vedere perchè).
Diacranum scoparium – Muschio di ginestra

Sphagnum palustre o muschio delle torbiere, cresce in ambienti molto umidi e con PH acido caratterizzato da tessuti vegetali in decomposizione e anzi contribuisce lui stesso a questo processo. Sempre più raro a causa della diminuzione dei suoi habitat è stato oggetto in passato anche di una raccolta indiscriminata per farne il substrato di crescita delle orchidee.

Sphagnum platyphyllum

Quante cose fanno i signori Muschio, (oltre a correre con le macchine, a recitare nei film e a sfilare sulle passerelle). Lo fanno in silenzio, con umiltà: proteggono il suolo trattenendo l’umidità, creano il substrato per lo sviluppo di altre piante (non solo, artificiosamente, le orchidee) sono in grado di resistere, diversamente da quanto siamo abituati a pensare, a lunghi periodi di siccità, ci regalano sensazioni piacevoli al tatto e all’olfatto con il loro tipico odore (o profumo).

Perciò non è così importante riuscire a distinguerli, chiamarli tutti per nome

FELCE REGINA

Omnunda regalis – Felce florida

Qualcuno, dopo avere letto il nome si chiederà:  Dov’è finita la R ?

Eh sì perchè  tutto porta a un parallelo tra un essere umano di genere femminile e un’appartenente al genere vegetale.

Partiamo dal vegetale, in fondo le piante esistono sulla terra da molto prima degli uomini.

E se la guardiamo bene dobbiamo ammettere che lei è proprio una regina.

Osmunda regalis o felce florida: la regina delle felci  per diversi motivi:  vediamo quali.

Intanto è una felce Cenozoica,  era già presente nel Terziario, potremmo considerarla un fossile vivente ma il suo sviluppo vegetativo molto rapido e  rigoglioso  non ha nulla di statico e fossilizzato.

Habitat

Come tutte le felci ama i terreni umidi e ombrosi, anzi il suo habitat preferito sono le paludi e gli acquitrini e pur essendo diffusa in molti continenti la riduzione di questi ambienti  ne limita la crescita. In Italia è maggiormente diffusa nella parte nord-occidentale e in Toscana mentre è più difficile incontrala nella sponda adriatica e al Sud.

Osmunda è un termine germanico antico  che ha a che fare con la divinità e con la magia, regalis ovvero regale è il suo portamento. Le sue foglie sterili  di un bel colore  verde scuro crescono in cerchio avviluppandosi l’una con l’altra mentre le foglie fertili, marroni perchè ricoperte di sori, crescono al centro come un spiga.  Ecco spiegato allora perchè questa felce è “Florida”

E’ talmente florida che per lungo tempo si è pensato di usare la terra contenente le sue radici con substrato per coltivare le orchidee  con un prelievo indiscriminato (altro motivo della sua diminuita diffusione).

Altro utilizzo che si è fatto nel tempo è quello medicinale ma attenzione, anche lei può essere velenosa.

Così come questa altra regina.

Chi?

Stiamo parlando di Rosmunda (ecco la R che mancava  a Osmunda) moglie di Alboino,  prima regina italiana dei Longobardi.

E’ stata definita la regina che beveva troppo ma forse era solo una reazione perchè era stata costretta a sposare Alboino dopo che questi aveva ammazzato suo padre e i suoi fratelli,  ma lei certo non si è persa d’animo, tra assassini, amanti, congiure di corte e avvelenamenti  (è stata lei a far uccidere il suo regale marito) sì è conquistata una solida fama di Dark Lady.

http://www.archeostorie.it/rosmunda-la-regina-beveva/

Rosmunda e l’uccisione di Alboino

Ma la storia non finisce qui.

Facciamo un salto di più di mille anni e aggiungiamo a Rosmunda una vocale, una A, e così otteniamo  ROSAMUNDA.

Vi dice qualcosa questo nome?

E’ il titolo di una canzone che ha una storia affascinante.

E’ una polka creata da un musicista cecoslovacco nel 1927; nel 1934 viene scritto il testo e diventa “Škoda lásky” .  Nel 1938 con il titolo di Rosamunde vende più di un milione di copie in Germania poi la canzone arriva negli Stati uniti e diventa l’inno della marina militare USA durante la Seconda guerra mondiale.

Ma, ci dice Primo Levi, questo brano era usato anche nei campi concentramento nazisti per accompagnare i detenuti alle camere a gas. (Come dimenticarlo quando ancora viene suonata oggi nelle balere?)

In italia la versione più famosa è quella di Gabriella Ferri:  un’altra regina.

DOLCE CONIGLIO DALLE MILLE ZAMPE BUFFE

Polypodium vulgare - felce dolce
Polypodium vulgare – felce dolce

Ah, buongustai !  Ci avevate creduto!  e invece no questo è un articolo vegetariano.

Non che anche i vegetariani non siano dei buongustai, ci mancherebbe.

Di certo il gusto, inteso come uno dei cinque sensi (senza scomodare il sesto) qui c’entra molto.

Allora vediamo. C’è una felce, la Polypodium vulgare, che viene chiamata comunemente felce dolce. Cresce nelle zone freddo-temperate dell’emisfero boreale  su ceppaie in boschi di latifoglie ma anche di aghifoglie fino ad una altitudine di 2.600 metri.

Ma non disdegna neanche i muri e le rupi.

Perchè dolce? perchè la sua radice ha un sapore simile alla liquirizia (io però non l’ho assaggiata) ma anche il termine polypodium ci dice qualcosa e cioè che è una pianta con molti (poly) piedi (podium) che poi non sono altro che le sue radici. (Vulgare invece vuol dire che è molto comune).

E il coniglio cosa c’entra?

Eh, qui viene il bello.

Dovete sapere che esiste una felce della stessa famiglia di felci (una sua cugina) che si chiama invece Phlebodium aureum che a causa delle sue radici è chiamata dagli anglosassoni Rabbit foot fern ovvero felce a zampe di coniglio  (morbide e pelose).

E’ una felce sempreverde di origine subtropicale che da noi è diventata una pianta ornamentale da vaso o come tappezzante nei giardini, soprattutto nella variante “Blu star” per la tonalità azzurro intenso delle fronde.

La cosa non vi fa venire in mente un noto marchio di prodotti cosmetici?

Allora mentre ti stai facendo un bel bagno ristoratore con i prodotti di cui sopra puoi sempre canticchiare:…”usami, straziami, strappami l’anima…tanto non cambia l’idea che ormai ho di te….”

Basta, altrimenti devo pagare i diritti d’autore a Giuliano Sangiorgi dei Negramaro.

IL CERVO A PEZZI

foresta-del-cansiglio-cervi

Povero cervo !

Ha passato un periodo difficile e adesso è a pezzi. Chissà cosa gli è successo.

Forse è stato lasciato dalla compagna (no, cosa avete capito; le corna ce le ha già di suo,  non ha bisogno di tradimenti).

Forse non si è ancora ripreso dallo spavento dopo essersi trovato faccia a faccia con Robert De Niro che stava girando “Il cacciatore”.

Forse non vuole più rinascere a primavera, anzi ha scritto una lettera di protesta a Mogol reclamando i diritti d’autore.

Sta di fatto che è a pezzi; e questi pezzi sono ben sparpagliati  anche se non si capisce come siano finiti lì.

La lingua per esempio la possiamo trovare in fondo al pozzo e le corna addirittura sugli alberi.

La lingua di cervo (detta anche la Phyllitis scolopendrium) è  una felce nostrana  della famiglia  degli Asplenium che cresce lungo i ruscelli di montagna nei pozzi e nelle grotte su terreno calcareo, infatti è (era) molto diffusa nelle grotte del Carso triestino dove cresce in associazione con la Plagiochila delle caverne (Plagiochila asplenioides f. cavernarum).

 

Luoghi bui e umidi, chissà cosa ci trovano di interessante.

Beh almeno si fanno compagnia.  E forse a fargli compagnia un tempo c’erano anche gli orsi e altri animali selvatici  o anche quasi sicuramente gli “uomini delle caverne”,  altrimenti come avremmo scoperto le sue proprietà espettoranti (nella cura di bronchiti) o diuretiche e astringenti?

Quando l’uomo uscì dalle caverne e guardò sù verso il cielo  scoprì che sugli alberi c’era un altro pezzo di cervo (sugli alberi ci sono molte cose, a volte insospettabili, ma questa proprio non se l’aspettavano).

Videro infatti il  Platycerium: una felce epifita  della famiglia Polypodiaceae che cresce sugli alberi delle foreste tropicali. La forma delle sue foglie gli ha fatto guadagnare il nomignolo di Corna di cervo. 

(Dal Carso alle foreste tropicali:  un bel salto,  capite perchè il nostro cervo sta così?)

Corna di cervo

Il Platycerium non è una pianta parassita, infatti trae nutrimento dall’umidità dell’aria (vive d’aria in pratica e di tutti i residui organici che si posano sulla pianta che lo ospita).

Tra le diverse specie che crescono nelle foreste tropicali dell’America, Africa, Sud-est asiatico, Australia, quella più conosciuta e coltivata anche da noi per scopi ornamentali è ovviamente la Platycerium alcicorne.

Questa specie è caratterizzata da due tipi di foglie, quelle sterili, di forma circolare, che crescono appressate al tronco dell’albero e proteggono le radici, e quelle fertili, che portano nella pagina inferiore le spore,  a forma di corna e che sono poi quelle che il cervo reclama come sue.

Platycerium alcicorne

Povero cervo!  Scomposto, disarticolato, frammentato, sull’orlo di una crisi di nervi…. sembra proprio l’immagine della nostra civiltà.