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BUCHI NELL’ ACQUA

Questa è una storia che va oltre il ben noto detto e anzi, in parte lo contraddice.

Infatti se “fare un buco nell’acqua” significa aver fallito, aver fatto una prova andata a vuoto, aver lavorato per niente, questa volta i buchi nell’acqua li hanno fatti davvero e un poco sono rimasti.

Ma passiamo dalla filosofia alla pratica.

E partiamo da un posto che si chiamava o forse si chiama ancora Sab-Ghia ovvero sabbia e ghiaia. Sabbia e ghiaia del Ticino prelevati dal letto del fiume per farne materiali da costruzione fino al 1992 quando questa pratica è stata vietata per i rischi di dissesto idrogeologico e di erosione delle sponde.

I buchi però sono rimasti, e l’acqua pure. E allora cosa fare di quell’ambiente artificiale, tanto simile a quello dei laghetti in fondo alle cave dismesse?

Dapprima i laghetti sono diventati un luogo per gli amanti della pesca sportiva con tanto di chiosco e villeggianti estivi, poi la zona, che, curiosamente pur essendo in sponda destra è territorio lombardo dal punto di vista amministrativo, è diventata privata e per un po’ si è parlato di una possibile destinazione come luogo di accoglienza di migranti negli edifici in parte ancora presenti ma poi non se ne fece più niente.

Cosa sono adesso questi laghetti?

Sicuramente un luogo che ha ancora il suo fascino, che si sta lentamente ri-naturalizzando anche se grossi mucchi di sassi e qualche relitto di archeologia industriale sono ancora lì a raccontarci un pezzo di storia.

IL FIUME VIVO

Verrebbe quasi da citare una vecchia canzone di Francesco De Gregori (hanno ammazzato Pablo. Pablo è vivo…)

Si perchè il fiume è vivo nonostante tutti i tentativi di ammazzarlo, magari in questo momento non se la passa tanto bene, vista la magra persistente degli ultimi mesi (anni?) e in previsione di quella che ci sarà questa estate.

Ma se andiamo a passeggiare lungo le sue sponde anche in queste settimane d’ìnverno non potremo ignorare piccoli segnali della sua vivacità, del suo essere “alive and kicking” giusto per fare un’altra citazione musicale, questa volta dei Simple minds.

Innanzitutto balzano subito all’occhio queste grandi distese di sassi e se anche preferiremmo vederle coperte d’acqua ci fanno capire che il letto del fiume è fatto di pietre, di pietre rotolanti (altra citazione, scusate), di sassi che troveremo più a valle dopo la prossima piena.

E questo letto non è piatto e liscio come ci si potrebbe aspettare ma è fatto di collinette e di affossamenti, di accumuli che vanno a formare piccole isole, di scivoli dove l’acqua che scende ci permette di ascoltare “la voce del fiume”.

Le piccole onde, le increspature che si creano in queste “rabbie” non intaccano il colore delle acque del “fiume azzurro“, specie oggi che il cielo è sereno, semmai il riflesso del sole crea se guardiamo in controluce un nastro d’argento.

IL fiume non attraversa solo il territorio ma ne fa parte, lo influenza e ne è influenzato come in questo tratto dove il suo percorso è caratterizzato da grandi curve per aggirare un blocco di rocce più dure che nei millenni non è riuscito a scalfire.

Ma ci sono altri segnali di scambio. Ad esempio le risorgive che alimentano il corso del fiume aggiungendosi agli affluenti di superficie e che spesso non vediamo perchè sono “in alveo” cioè sotto il livello delle acque e che qui, come in altri posti è possibile osservare. Acque più calde, come quelle dei fontanili, infatti anche adesso che è inverno c’è una ricca e verdeggiante vegetazione acquatica.

Il fiume lascia (depositi di sabbia e legname, a volte rifiuti) e il fiume toglie. I sentieri che vanno verso il fiume sono spesso interrotti perchè lui ha corroso le sponde che qui sono alte e sabbiose, ottimo habitat per i nidi del Martin pescatore, e la traccia che stiamo percorrendo a ridosso della sponda probabilmente tra un po’ sarà ancora diversa.

Il fiume è vivo anche se adesso come “il mare d’inverno” di lui non importa (quasi) a nessuno.

DA MELQUIADES A HARRY POTTER

Ticino in inverno 3

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito.

Tutti gli anni verso il mese di marzo una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio; con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni.

melquiadesUno zingaro corpulento, con la barba arruffata e le mani di passero che si presentò col nome di Melquìades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l’ottava meraviglia dei savi alchimisti di Macedonia.

Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare, i treppiedi, cadevano dal loro posto e i legni scricchiolavano per la disperazioni dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli oggetti perduti da molto tempo ricomparivano dove per erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro i ferri magici di Melquìades.

Le cose hanno vita propria – proclamava lo zingaro con aspro accento – si tratta soltanto di risvegliargli l’anima”

(Dall’incipit di CENT’ANNI DI SOLITUDINE” – Gabriel Garcia Marquez  – 1967)


Siamo qui, sul greto del fiume, anzi dentro, in mezzo, quasi a distanza uguale tra la sponda destra e quella sinistra.

Dopo la piena di novembre che ha causato in altre parti d’Italia alluvioni e frane, il fiume dai sassi bianchi grandi come uova preistoriche e dalle acque azzurre  (indizio fondamentale per riconoscere il Ticino) ha diminuito notevolmente la sua portata lasciando scoperti ampi ghiaioni fatti di pietre rotolanti e levigate che la corrente ha disposto tutte nella stessa direzione.

ticino-allineamento-sassi

Ma a guardarle bene (le pietre) non sono tutte bianche. Ecco graniti rosa,  serpentini verdi, selci, micascisti…..  e anche qualche frammento d’oro ( ma mica siamo qui a guardare le pagliuzze noi! … Anche perchè più probabilmente di tratta di quarzite).

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Arcadio Buendia patriarca della famiglia aveva grande ammirazione per Melquiades tanto da farsi convincere ad acquistare la “pietra filosofale”.

La pietra filosofale secondo gli alchimisti era un amuleto capace di tramutare i metalli in oro, o di produrre l’elisir di lunga vita. Rappresentava inoltre la via alla saggezza e alla conoscenza assoluta. Sull’origine di queste credenze vi sono molte teorie.
Quella forse più antica risale alla mitologia greco-latina: il dio Saturno (Chronos, per i greci) aveva l’abitudine di divorare i figli, ma una sua amante, Rea, sostituì il proprio figlioletto Zeus con una pietra, che Saturno ingoiò d’un sol boccone. Quando s’accorse dell’inganno vomitò quel grosso sasso sulla Terra. Nel tempo in cui la pietra era rimasta nel corpo del dio aveva però acquistato la particolare proprietà di tramutare i metalli in oro.
Alla ricerca della pietra filosofale, o di un sistema per ricreare le sue proprietà, si sono dedicati centinaia di alchimisti, da quattromila anni a questa parte. Non mancano nomi illustri, quali Aristotele, Pitagora, Paracelso e Flamel.

(da Focus.it 28 GIUGNO 2002)
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pepita-copia
Foto Zattin

Ecco la pietra filosofale è proprio quella che ci vorrebbe adesso, perchè tutti questi sassi possano diventare qualcosa di prezioso.

I sassi bianchi già lo sono, per secoli sono stati estratti e macinati per farne piatti e ceramiche.

Ci sono però anche sassi giallastri, ocra, ruggine, tutti indizi che rivelano al loro interno la presenza di ferro.

Eccone laggiù uno enorme, la più grossa “pepita” che mi è mai capitata di vedere su questo fiume: è un enorme “sasso marcio” ormai “cotto” da sole e corroso dall’acqua che l’ha trasformato in un blocco friabile di ossido di ferro.

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…. Ah se ci fosse qui Harry Potter !!

Ps:

i sassi nel  fiume sono preziosi già così come sono: filtrano l’acqua, per esempio; nascondono pesci e piccoli invertebrati,  ospitano muschi e licheni, fanno da balia alle uova di alcune specie di uccelli che nidificano con le loro uova mimetiche sul greto del fiume.

Peccato che con loro non si possa parlare,  oppure si, come diceva la mia amica Wislawa

 

IL GIARDINO ZEN

Immagine 775

Niente anatre oggi là dove mi aspettavo di vederle ma solo qualche gabbiano che vola via con il suo verso stridulo.

Nessun altro segno di vita, anzi no, c’è il fruscio dell’acqua che scorre, ci sono gli alberi e i sassi.

Sono vivi i sassi?  O sono materia inerte come pretendono i muratori, i contadini?

Poi  da lontano scorgo una ragazza.  Ha capelli neri e un cappotto rosso fuoco.   Cosa l’ha spinta qui sulla riva del fiume in questo pomeriggio invernale.

Cammino nella sua direzione  proprio mentre lei si alza e decide di andarsene. Ci scambiamo un rapido cenno di saluto.

Tutto intorno silenzio e calma.

Sulla sponda del fiume dove stava la ragazza ecco un recinto di sassi, come a formare  un piccolo cortile pulito da rami e foglie: sembra quasi un giardino zen.

E infatti ecco le prove. Disegni concentrici sulla sabbia finissima:  un sole con i pianeti attorno, un anello con tanti brillanti, il grande mare e i laghi come occhi che lo guardano…

Immagine 777

Ok non c’è la perfezione orientale, sicuramente non è stato usato il rastrello per fare quelle righe sulla sabbia… si vedono anche lunghe scie lasciate dalle ruote di biciclette, orme di scarpe, segni inequivocabili di una civiltà occidentale alla quale per forza di cose appartengo

Forse è la ragazza che ha fatto il disegno o forse no, ma non posso più chiederglielo: ormai è sparita dietro la boscaglia.

Io qui, invece, che cosa sto cercando?   Questo paesaggio così aspro e spoglio tuttavia mi dà buone sensazioni, mi fa stare bene.

Osservo i teneri germogli di Enothera spuntare dalla sabbia, farsi rossa rosa appiattita su un tappeto di sassi.

Perchè io e la ragazza con il cappotto rosso fuoco non ci siamo abbracciati?

Immagine 784

SCREPOLATURE

Chiarisco subito che questa non è una pubblicità di cosmetici e neanche di prodotti protettivi per non fare rovinare la vernice sul legno.

Le screpolature in questione sono quelle sul fondo di una pozzanghera asciugata dal sole, un fenomeno naturale che succede quando una superfice liscia si disidrata e perde elasticità (beh, il linguaggio è lo stesso che sulle confezioni di crema per la pelle, ma perdonatemi).

Il raggrinzimento (orrore !!) fa sì che i lembi si sollevino e producano un mosaico di tessere leggemente concave divise tra strette aperture irregolari che lasciano intravedere il terreno più scuro sottostante.

Questa pellicina è formata da un terreno di natura diversa da quello sottostante,  lo compongono granelli di sabbie e argille più fini che la pioggia ha trasportato e “steso” quasi come uno strato di vinavil.

Ah, lo sapevo che arrivavamo lì.

Ma se vogliamo andare più in profondità, sotto la pelle, scopriremo altre storie.

Per esempio non solo i fanghi, le argille possono creare quell’effetto ma anche il sale.
Ci sono grandi deserti del Sud America  come il deserto di Atacama in Cile

Cile - Deserto di Atacama
Cile – Deserto di Atacama

o il deserto di sale  di  Uyuni  in Bolivia

Bolivia - Salar de Uyuni
Bolivia – Salar de Uyuni

dove si formano paesaggi particolari: grandi cretti naturali, ambienti surreali eppure affascinanti che sicuramente hanno ispirato un artista italiano del ‘900 come Alberto Burri, famoso anche per aver creato opere con sacchi di iuta, plastiche bruciate, muffe…

Alberto Burri - Cretto G 1 - 1975
Alberto Burri – Cretto G 1 – 1975

Da Burri e dal terremoto del Belice (Sicilia occidentale) del 1968 ci arrivano altre crepe, più profonde; non solo quelle lasciate sul terreno ma nell’anima e nei cuori di quelle comunità

In una installazione di “Land Art”  il nostro artista ha voluto ricreare un grande cretto che ricalcasse il reticolo delle strade di Gibellina là dove sorgeva l’antico abitato. (La nuova Gibellina: la new town, come si dice adesso, è stata ricostruita a 20 km di distanza)

Burri - Cretto di Gibellina vecchia
Burri – Cretto di Gibellina vecchia

Alberto Burri e i Cretti, una mostra a Palermo per il centenario dell’artista

http://www.zmphoto.it/foto/settimo-lo-nigro/157325/

Cretto di Gibellina
Cretto di Gibellina

Allora questa opera d’arte che imita un fenomeno naturale anzi due (la siccità e il terremoto)  simboleggia  l’energia che si libera in questi processi e allo stesso tempo diventa memoria di qualcosa che non c’è più.

Devo ricordarmelo la prossima volta che vedo una pozzanghera asciugata dal sole o passo davanti ad un banco di cosmetici.

 

 

ROLLING STONES

Rolling Stones

Sarebbe stato troppo facile incominciare con i versi di Bob Dylan, specie se l’ispirazione ti è venuta dalle parti di Porta Ticinese mentre stai cercando un kebab da mangiarti nel Parco delle basiliche tra S. Lorenzo e S. Eustorgio.

Certo le pietre che rotolano appartengono ad ere geologiche, sono parenti del Riss, del Mindel, forse del Jagger e se hanno la lingua fuori non è per affanno ma per impertinenza.

O forse un po’ di affanno ce l’hanno, dopo tutto questo rotolare giù dalla montagna in compagnia prima dei ghiacci e dopo delle acque del fiume. (with no direction home)

Così capita che un mattino assolato di primavera queste pietre si ritrovino sul greto di un fiume  (il Ticino in questo caso, ma potrebbero essere anche altri) frammiste alla sabbia dell’ultima piena:

Ghiaione in riva al Ticino

sassi Ticino

– Tu da dove vieni ? chiede una pietra di granito rosa  ad un ciotolo di serpentino verde.

– Vengo dalla Val Formazza  e tu?

 

– Io vengo da Baveno sul Lago Maggiore. Si stava bene lassù, il clima era mite, il panorama splendido. Ma conosco pietre che vengono dalla Val Formazza e perfino dalla Svizzera.

– Io ho abitato per un po’ in collina, una collina morenica- interviene un’altra pietra – mi ero fidanzata con il ghiacciaio Wurm  ma poi lui è tornato indietro e mi ha lasciata.  Meglio così: non era un tipo molto caloroso.

– Ah ma allora sei giovane – non sei come noi che apparteniamo a era glaciali più antiche- guarda io è da così tanto tempo che rotolo che avrei potuto fare 10 volte il giro del mondo.

– Ma lo sai che rotolare fa bene alla pelle? guarda come sono liscia e senza una ruga dopo più di un milione di anni.

– E quella laggiù ? perchè se la tira tanto?

– E’ del Villafranchiano,  un era glaciale precedente alla nostra. Dice che lei è qui da milioni di anni  e nessun fiume è riuscita a farla rotolare a valle.

-Da quanti milioni di anni?

– Mah … sai, non è bello chiedere l’età neanche a una pietra

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Da dove arrivano i sassi del Ticino e da quanto tempo sono qui?

Il fiume Ticino ha un bacino imbrifero vasto 6.000 Km quadrati. la metà dei quali in Svizzera: certo la forza delle acque non è abbastanza per spostare grossi massi ma ciotoli, sabbie e ghiaie sì.

3c  bacino idrografico Ticino
bacino idrografico fiume Ticino

 

Il grosso del lavoro l’hanno fatto i ghiacciai di diverse ere glaciali ; quelle più recenti del Quaternario (il Mindel, il Riss, il Wurm) hanno portato a valle tantissimi detriti formando le colline moreniche e il livello base della pianura  che i fiumi hanno poi scavato per aprirsi una strada verso il mare.

carta geologica dettaglio copia
glaciazioni quaternario – particolare

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Se proprio volete saperlo il Quaternario coincide con la comparsa dei primi ominidi sulla terra ed è iniziato circa 1.800.000 anni fa.

La glaciazione più recente si è conclusa 10.000 anni fa.

 

 

 

LA MORBIDA

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Questa potrebbe essere la storia di tre sorelle:  la piena, la morbida e la secca.

Voi quale preferite?

La piena e la secca le conosciamo bene… mah sì, non fate finta di non capire, le avrete viste centinaia di volte, solo che si truccano in modo differente.

Sto parlando delle piene e delle secche del fiume che si alternano nelle stagioni secondo la piovosità e lo scioglimento della neve in primavera (e ultimamente anche per le manovre fatte sulle dighe).

La morbida invece non la nota nessuno, non è ne pesce persico ne siluro, forse perchè lei di carattere ha questa capacità di passare inosservata.

Adesso che ci penso però a me piacciono le morbide, non sono eccessivamente impetuose, trabordanti ma non sono neanche simulacri della miseria e della fame; mi piacciono perchè non ti mettono ansia anzi ti trasmettono quel senso di calma che ti da il fiume quando scorre tranquillo lasciando intravedere i sassi che sono sul fondo, quando accarezza le radici degli alberi ma non li strappa, quando le canoe scivolano leggère e fanno piroette sui dolci mulinelli dove l’acqua e l’aria si uniscono in un matrimonio fecondo.

la morbidaLa morbida è la seconda sorella, no forse la terza, dipende da dove si inizia a contare. In ogni caso la morbida che preferisco viene dopo la piena quando il livello delle acque si abbassa e la corrente del fiume perde velocità e lungo le sponde e sugli isolotti rimangono tronchi di alberi, rami, pezzetti di legno più o meno grandi e impigliate purtroppo anche le immondizie che gli uomini hanno abbandonato al fiume.

Allora si scoprono paesaggi nuovi, insenature prima inesistenti, nuovi depositi di sabbia e immense distese di sassi tutti depositi alluvionali“pettinati” nello stesso verso della corrente; sassi lisci, lucidi, privi di quella patina biancastra o ricoperti di melma verde che segna i periodi di caldo e di afa estivi.

Si scopre che in molti punti il fiume ha cambiato il suo percorso, sono nati nuovi isolotti… la c’è l’abbozzo di una nuova lanca, più dentro ancora, nel bosco, la sabbia ha ricoperto il sempreverde delle pervinche.

Si dice che la morbida ha delle virtù nascoste;  non è vero, sono sotto gli occhi di tutti, basta saperle osservare, basta lasciare il fiume libero di cambiare strada senza costringerlo tra due pareti di prismi, bretelle, sponde artificiali.

La morbida è bella perchè è tutta naturale.