Ebbene sì, anche lui il Bagolaro, ovvero Celtis Australis ha la sua farfalla. E chissà come è nato questo connubbio.
La farfalla avrà chiesto il permesso? oppure sarà stato l’albero a dire: “Vieni, vedi se ti piaccio e poi decidi”.
Sarà stato così anche per la Vanessa del cardo o per quella dell’ortica? e che dire della Cavolaia? E le piante che cosa hanno in cambio?
A quest’ultima domanda per ora non so rispondere,
So però che senza la pianta non avremmo neanche la farfalla e il ragionamento appare molto semplice e lineare.
Ma incominciamo dalla pianta, il Bagolaro.
Se il nome scientifico è Celtis australis e la famiglia è quella delle Cannabaceae, i nomi popolari vanno da Romiglia a Spaccasassi, a Albero dei Rosari.
Cresce infatti in terreni sassosi ed è molto resistente alla siccità e all’inquinamento (pianta perfetta per il futuro) cresce normalmente nei boschi di latifoglie (anche se non è così diffuso) ma viene impiegato per le sue virtù di cui sopra anche nei viali delle città grazie anche alla sua longevità.
E’ una pianta molto rustica che non teme il caldo o il freddo eccessivi per questo è presente in tutta Italia e in modo abbastanza omogeneo in quasi tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo e in Medio Oriente (potremmo quasi chiamarlo “arbor nostrum”).
La sua corteccia liscia grigio argentea e la sua chioma espansa ne fanno un albero molto elegante; è una pianta eliofila, perciò ha bisogno di una buona esposizione al sole. Le sue bacche, piccole ciliegie dapprima verdi e gialle e poi, a maturazione, nere, sono un ottimo cibo per gli uccelli ma c’è anche chi ne fa ottime marmellate.
Albero simile al Celtis Australis è il Celtis occidentalis, originario del Nord America che si distingue per alcuni caratteri quali la corteccia che in Celtis occidentalis è fessurata e più scura e per le foglie.
Nel C.eltris australis sono ruvide sulla pagina superiore e tomentose su quella inferiore, mentre le foglie del C.eltis occidentalis sono lisce e lucide sopra e glabre sotto. Nel C.eltis occidentalis sono meno arrotondate, più affusolate e prive di dentelli verso la punta.
E veniamo alla farfalla.
Come ogni albero che si rispetti ha (è) un bel fusto e come tale attira parecchie ammiratrici ma la sua preferita è lei: Libytea.
Non si sa quando si sono conosciuti; quello che è certo è che hanno formato un connubbio indissolubile, lei non potrebbe vivere senza di lui (non so se è valido anche il contrario ma lasciamo il quesito agli scienziati)
Libytea ha una bella livrea (giusto per fare la rima) e ali dai bordi irregolari; a prima vista potrebbe essere confusa con una Maniola jurtina o una Pararge Aegeria, altre leggiadre, anche se poco appariscenti creature appartenente alla famiglia dei lepidotteri che abitano ai margini dei boschi e nelle radure come lei.
Quello che la caratterizza sono però due macchie bianche poste a metà del bordo superiore delle ali (anche qui dei falsi occhi per ingannare i predatori ? ) ali che hanno bordi molto irregolari. Altra particolarità sono i palpi labiali molto allungati, che le altre farfalle diurne non hanno.
E’ una farfalla di piccole dimensioni (37-445 mm di apertura alare), maschi e femmine sono simili. Lo sfarfallamento avviene da giugno a metà luglio e da agosto in poi, quindi sverna allo stato adulto in luoghi riparati come cavità di alberi, cantine, terrazze (attenzione se ne vedete qualcuna !) per ricomparire in volo da fine febbraio a maggio e depositare le uova sulle foglie del suo amato per fare in modo che poi il bruco possa sfamarsi con esse.
La Libitea del bagolaro ha dovuto aspettare il 1782 e un certo Laicharting, (probabilmente uno scienziato illuminista) per essere chiamata così, ma lei c’era anche prima, da molto prima, un amore nato con il bagolaro da tempi antichi, antichissimi, preistorici, forse era addirittura una principessa di “Frozen“.