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LA NAZIONE DELLE PIANTE

Earthrise

Quando William Anders scatta questa foto è la vigilia di Natale del 1968.  La spedizione è quella dell’Apollo  8 e per la prima volta, dalla faccia oscura della luna l’uomo vede sorgere la terra sull’orizzonte lunare.

Questa foto è diventata famosa con il nome di Earthrise.

L’alba della terra ci rivelò un mondo azzurro e verde screziato di nuvole bianche, “un pianeta di maestosa bellezza  ma anche fragile e delicato.  Una colorata isola di vita  in un universo per il resto vuoto  e buio”.

Anni dopo uno scienziato  di fama internazionale,  STEFANO MANCUSO, riprende quella foto e chiama il pianeta terra  “La nazione delle piante”

La nazione delle piante non è solo un libro di ecologia ma attraversa argomenti quali la democrazia, l’organizzazione sociale, l’economia, la burocrazia, la libertà

Intanto come prima cosa sfata il mito che le piante siano esseri inferiori agli animali (uomo compreso)  e lo fa sulla base di un concetto molto semplice: senza le piante non sarebbe possibile alcuna forma di vita sulla terra: L’uomo non potrebbe vivere senza piante ma le piante senza l’uomo sì.

E allora come in una specie di “Costituzione” della Nazione delle piante Mancuso stila una carta dei diritti delle piante  della quale voglio citare alcuni articoli:

Art. 1  La terra è la casa comune della vita. La sovranità appartiene ad ogni essere vivente.

Cioè abbandoniamo l’idea che l’uomo (homo sapiens) sia il padrone della terra, che sia un essere superiore.  Le piante sono l’unico soggetto vivente capace di generare autonomamente energia grazie alla fotosintesi mentre tutti gli altri (uomo compreso) devono ricorrere a fonti esterne.

Pensiamo solo all’ossigeno, così prezioso per l’uomo… e se le piante non lo producessero come scarto della loro attività?

Art. 2…………

Art. 3  La nazione delle piante non riconosce le gerarchie animali, fondate su centri di comando e funzioni concentrate e favorisce democrazie vegetali diffuse e decentralizzate.

Non esiste tra le piante il “maschio alfa” non esiste una struttura piramidale come nel regno animale così come le piante non hanno una netta differenziazione di organi e tessuti come nell’uomo, il cui grosso cervello  paradossalmente può diventare un handicap. Le piante invece, se ferite, offese, colpite da fenomeni esterni hanno una capacità di rigenerarsi molto superiore a  noi.

Art 7  (per brevità e anche per lasciarvi un po’ di curiosità)

La nazione delle piante non ha confini. Ogni essere vivente è libero di transitarvi, trasferirsi, vivere senza alcuna limitazione.

Le piante non si muovono, stanno lì, ferme (direte voi) Non è proprio così.

A parte i viaggi che hanno fatto al seguito dell’uomo che ha portato alberi e semi da un continente all’altro, le piante si sono sempre mosse, certo più lentamente degli animali, che hanno più possibilità di sfuggire a incendi, alluvioni, siccità e, accanto alle difese maggiori che mettono in campo contro questi eventi catastrofici, si sono spostate di latitudine nei secoli (e millenni) seguendo i cambiamenti climatici e guai se non avessero questa possibilità.

E allora perchè negarla ai migranti?  A tutti i migranti perchè quelli che scappano dalla guerra scappano dalla fame, e quelli che scappano dalla fame lasciano alle loro spalle una terra che è diventata deserto  e quelli che non possono più coltivare la terra non hanno più soldi per dar da mangiare ai loro figli…

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In altra parte del libro l’autore afferma che la velocità scomparsa del  numero specie viventi (vegetali e  animali)  e quindi la perdita di biodiversità a causa dell’attività antropica è molto superiore  a quella del meteorite  che provocò l’estinzione dei dinosauri.

 

E’ per questo che la molto saggia Nazione delle piante, nata centinaia di milioni di anni prima di qualunque nazione umana, garantisce a tutti gli esseri viventi la sovranità sulla Terra per evitare che delle singole specie molto presuntuose possano estinguersi prima del tempo, dimostrando che il loro grosso cervello non era affatto un vantaggio, ma uno svantaggio evolutivo.

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Stefano Mancuso – LA NAZIONE DELLE PIANTE-  Ed. Laterza – Bari  – 2019

 

 

 

 

NESSUN UOMO E’ UN POMODORO…

… da scartare.

E’ strano.  E’ da molto che non presento nuovi libri in questo blog (anche perchè non ho molto tempo per leggere, ultimamente) eppure questo lo voglio proporre così, a caldo, pur senza averlo letto.

Ha qualcosa a che fare con l’elogio della pazzia ma anche con lelogio delle erbe vagabonde, selvatiche, per qualcuno inutili.

POMODORI DA SCARTARE è la storia di un uomo vissuto per molti anni in un istituto psichiatrico e adesso che non ci sono più (almeno come li conoscevamo prima della Legge Basaglia) lavora in una cooperativa agricola dove coltiva pomodori ed è così bravo che riconosce a colpo d’occhio quali sono i pomodori acerbi, maturi e da scartare.  (si direbbe quasi un esperimento di orto-terapia)

L’incontro con una bambina, la figlia del proprietario, gli dà l’occasione per parlare di sè incontrando fiducia e non pregiudizio.

Perchè nessun uomo in fondo è un pomodoro da scartare, ognuno pur nella diversità ha qualcosa che lo rende unico, con le sue fragilità ma anche con tutte le sue capacità e per questo degno di rispetto, titolare del diritto ad avere una vita felice  (sembra quasi la dichiarazione dell’indipendenza americana).

Anche io allora non resisto dal fare citazioni celebri come questa:

Franca Ongaro, moglie di Franco Basaglia, scrisse all’indomani del varo della legge 180: «Non si è stabilito che il disagio psichico non esiste, ma si è stabilito che in Italia non si dovrà rispondere mai più al disagio psichico con l’internamento e la segregazione».

Come saranno i pomodori di Ennio, il protagonista della nostra storia? Saranno lisci e tondi o a pera, saranno ciliegini o a cuore di bue?

Beh, se vi dico troppo anche voi dopo finisce che non leggete il libro.

Aggiungo solo una frase dal libro, un piccolo estratto:

«E quando si arrampicava sul fico, atterrando un attimo dopo nel cespuglio, era per cercare di volare. Però io adesso ho capito il motivo: lui voleva solo uscire dalla nebbia»

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POMODORI DA SCARTARE  scritto da Valentina De Pasca e illustrato da Brunella Baldi.

Edizioni Gruppo Abele – Maggio 2019

 

 

DIMENTICARE LE VERDURE

Si, penso sia grave.  Andare al mercato e dimenticare di comperare le verdure.

Tutti noi sappiamo, o dovremmo sapere, quanto sono importanti per la nostra alimentazione per il loro contenuto di vitamine, sali minerali, fibre e…  acqua.

Sarà per questo che il banco della frutta e verdura è uno dei miei preferiti… tutti quei colori e forme e profumi… quella sensazione di freschezza che neanche un deodorante (scherzo!) anche se sappiamo che è tutta roba che arriva dei mercati generali e ha fatto molti chilometri prima di arrivare da noi.

Altra cosa sono i mercati dei contadini che si stanno diffondendo in questi anni (“dal produttore al consumatore!” è il facile slogan ma più che consumatore in questo caso parlerei di intenditore, di buongustaio, di curioso o nostalgico di tipi di frutta e verdura dimenticate.

Patissone

Provate a chiedere al vostro fruttivendolo di fiducia (sempre che ne abbiate uno) un patissone o una rutabaga. Scommettiamo che vi guarderà con occhi persi chiedendosi per un attimo se siete impazziti?

Nelle varie regioni d’Italia certo i mercati si differenziano e alcune verdure o erbe vengono ancora commercializzate, altre riscoperte da qualche chef, sono tornate di moda così che non è così impossibile trovare il dragoncello piuttosto che la borragine, la silene o il lampascione o ancora l’aneto, il cavolo rapa. il tarassaco

ma provare a cercare il Cetriolo limone.

Cetriolo limone

Sopravvissuto grazie ai salvatori di semi e nascosto in qualche giardino privato assomiglia davvero per forma e colore della buccia a un limone ma il sapore è proprio quello di un cetriolo anche se meno aspro.

E’ una cucurbitacea come  il patissone una zucchina dalla forma di disco volante ma il nome deriva dal francese patisson infatti può ricordare un dolce di pasticceria appena uscito da uno stampino.

Se giovane si  può mangiare anche la buccia, se invecchia invece la buccia diventa dura come quella delle zucche e svuotata della polpa si può usare anche come contenitore farcito in vario modo.

A giudicare dai suoi molti nomi però non sembra molto dimenticata. Potete chiamarla carciofo spagnolo,  corona imperiale, zucca a raggiera, cappello d’alfiere  o anche cappello del prete (preti e alfieri con lo stesso cappello?…. mah)

E la nostra rutabaga? Che sarà mai?

E’ una rapa.

Si, lo so, detto così è brutto ma se aggiungessi “svedese”?

Rutabaga – rapa svedese

Infatti è conosciuta anche come navone  o rapa svedese. E’ uno dei cavalli di battaglia della cucina scandinava e molto conosciuta nei paesi anglosassoni, meno da noi.

Il suo sapore, dolce e delicato ricorda un po’ quello delle noci.

Suoi parenti (tutti della famiglia delle Brassicaceae) sono il Ravanello pompelmo, il ramolaccio nero, il cavolo rapa,  mentre il più conosciuto sedano rapa è invece della famiglia delle Apiaceace  come le carote ad esempio.

Bene.

Non voglio annoiarvi oltre anche perchè devo andare a prepararmi una bella minestra con spinaci selvatici e una vellutata di topinambur.

Topinambur

Se volete saperne di più provate a leggere:  LE VERDURE DIMENTICATE  di Morello Pecchioli  – ed Gribaudo.

LE VOCI DI MARRAKECH

“Ti devo mostrare il mercato dei cammelli” mi disse un amico dopo il mio arrivo a Marrakech. ” Si tiene ogni  giovedì mattina davanti al muro di Bab al Khemis. (la porta del giovedì)…

Venne il giovedì e ci andammo. Era già tardi quando arrivammo nella grande piazza aperta. davanti alle mura della città, era ormai mezzogiorno. La piazza era quasi deserta.  (…)

“Siamo arrivati troppo tardi – disse il mio amico – il mercato dei cammelli è finito”.(…)

Bal el Khemis

Alcuni giorni più tardi ritornammo davanti alla porta di El Khemis. Il numero di animali  che vi trovammo non era molto grande: si perdeva nella vastità della piazza. Dapprima ci parvero tutti tranquilli. L’unico rumore veniva da piccoli gruppi di uomini che mercanteggiavano animatamente. Ma ci sembrò che gli uomini non si fidassero di alcuni animali, ai quali non si avvicinavano troppo.

Di lì a non molto notammo un cammello che sembrava difendersi da qualcosa, ringhiava, sbuffava e girava la testa con violenza da tutte le parti.

Un uomo tentò di costringerlo a piegarsi sulle ginocchia, e poichè questo non ubbidiva lo aiutò a bastonate. Tra i due o tre individui che stavano attorno all’animale  uno in particolare dava nell’occhio: era un uomo robusto e tarchiato, con una faccia scura e feroce. Stava puntato lì e le sue gambe erano come radicate nel suolo.

Con energici movimenti delle braccia passò una corda nel setto nasale dell’animale dopo averlo forato da parte a parte. Naso e corda si tinsero del rosso del sangue. Il cammello si agitava e gridava e poco dopo bramì forte;  alla fine dopo essersi inginocchiato, si alzò di nuovo con  un balzo nel tentativo di svincolarsi, mentre l’uomo con la corda tirava sempre più forte.

Gli uomini facevano tutto il possibile per domarlo e, mentre erano ancora impegnati in questo, qualcuno si avvicinò a noi e disse in un francese stentato.

“Sente l’odore. Sente l’odore del macellaio. E’ stato venduto per essere macellato. Ora lo portano al mattatoio”.

“Ma come può sentirne l’odore?” domandò incredulo il mio amico.

“IL macellaio è lì, è quello che gli sta davanti – e indicò l’uomo scuro e robusto che ci aveva colpito – il macellaio viene dal mattatoio e puzza di sangue di cammello”….

da  Elias Canetti,  LE VOCI DI MARRAKECH –  Adelphi  1983

 

 

UNA STORIA SCHICK

Tussilago Farfara

… Almeno per me lo è.

Arriva da un libro che si chiama FLORA FERROVIARIA pubblicato per la prima volta nel 1980  e sentite cosa racconta:

Nel 1980 un botanico svizzero, Ernesto Schick, decide di studiare le erbe che si trovano nei sedimi ferroviari del Ticino, in particolare nella stazione internazionale di Chiasso. Analizzando i binari, le traversine, le massicciate, i canali laterali, le porzioni di terreno racchiuse tra una linea ferroviaria e l’altra, tutti i luoghi che sono prossimi al passaggio dei vagoni,

Schick censisce 763 specie vegetali diverse, che costituiscono un quarto dell’intera flora svizzera; tra queste il 20% appartiene a specie in via di estinzione. Una biodiversità davvero incredibile. Molte sono terofite: fuggite da orti botanici, giardini, campi coltivati, sono arrivate sin lì inattese. Sono i treni ad averle trasportate, spesso da luoghi molto lontani. Basta un convoglio merci carico di sacchi di semi, e qualche lontano cereale giunge in quelle zone; quindi da qui si trasferisce lungo quegli interminabili interstizi, che sono le linee ferroviarie. Schick registra piante provenienti dal Sudafrica e da altri luoghi lontani, e provvede a descriverle attraverso disegni dettagliati.

Equiseto – fusti sterili

Pubblicato una prima volta nel 1980, il volume, che raccoglie il catalogo ragionato delle erbe con gli schizzi e gli acquerelli del botanico, è tornato in circolazione con il titolo di Flora ferroviaria (Edizione Florette e Humboldt Books) due anni fa, piccolo e prezioso volume. Il primo ritratto di queste erbe vagabonde, registrate da Schick, è dedicato all’Equisetum Arvense della famiglia delle equisetacee, dalla forma a lancia e con uno sviluppo a setole laterali lungo lo stelo, cui segue la Tussilago Farfara, vegetale pioniere, dalla forma di fiore giallo nella corolla, che colonizza le zone vergini, e si trova per lo più nelle cave, lungo frane e scoscendimenti.

Calystegia sepium

Poi ci sono “le aggressive”, come le definisce l’autore: la Calystegia Sepium, rampicante dal fiore bianco e dallo stelo verde e sottile, che si abbarbica ovunque, strisciando lontano dalla sua prima radice.

O quelle che definisce “le attraenti”, come il Papaver Dubium, dal meraviglioso fiore rosso o l’Iris Pseudacorus, giallo e slanciato….

Iris pseudacorus

Continua a leggere su:

http://www.doppiozero.com/materiali/piante-ed-erbe-viaggiatrici

(grazie a Namo per la segnalazione)

 

 

PEPE NERO E CIPOLLA

pepe

Che importanza ha il pepe nella storia del mondo?

Ve lo siete mai chiesti?

Certamente ha avuto la stessa importanza (forse di più) di quella che attualmente ha il petrolio.  Infatti anche il pepe è stato denominato oro nero, anche lui è stato così prezioso da essere usato come moneta di scambio, anche per lui si sono combattute guerre.

Ecco perchè la caduta dell’Impero Romano fu una tragedia per l’Europa, perchè veniva a cessare il controllo delle rotte del commercio del pepe. L’Europa sprofondò così inevitabilmente nel suo periodo più buio: il Medio Evo.

cipolla allegro non troppoSe non avete ancora letto “Allegro ma non troppo” , un agile e arguto libretto di Carlo M. Cipolla  dovete correre a cercarlo e poi mi direte se in quel tocco di pazzia con cui è scritto non ci ritrovate numerose  amare verità.

L’autore è uno storico dell’economia di fama internazionale ma qui si è voluto divertire tanto che il libretto  che contiene due saggi

 

– IL ruolo delle spezie ( e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del Medio Evo

– Le leggi fondamentali della stupidità umana

è stato stampato in prima intenzione in poche copie, regalate da Cipolla agli amici; una specie di strenna natalizia.

(qui ci occuperemo solo del primo saggio perchè sull’altro ci sarebbe troppo da dire)

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Accreditando la tesi delle virtù afrodisiache del pepe  Cipolla argomenta in modo brillante la sua scarsità con il calo delle nascite, ne fa uno dei principali motivi delle Crociate in Terra Santa, alla riconquista della via delle spezie, diventate monopolio degli Arabi (e dei loro intermediari: i Veneziani).

E quando finalmente i portoghesi costeggiando l’Africa giungono alla meta che inutilmente Cristoforo Colombo aveva cercato di raggiungere, si scatena una vera e propria guerra commerciale tra i primi, gli Olandesi e gli  Inglesi…

Ma la ritrovata dispobilità di questa amata spezia, segna la fine dell’Età di Mezzo e l’inizio del Rinascimento….

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Non so se il pepe sia veramente afrodisiaco, se così fosse perchè inventare la pillola blu?

Pare invece siano comprovate le sue virtù digestive,  stimola infatti i succhi gastrici, inoltre,  sempre aggiunto in piccole quantità agli alimenti, è ideale nelle diete dimagranti perchè stimola la termogenesi, brucia le tossine in eccesso e ha quindi anche una funzione depurativa. E tutto questo grazie ad una sostanza chiamata piperina.

450px-Piper_nigrum_dsc00198Ma da dove arriva “veramente” il pepe?

Un tempo i commercianti per mantenere il segreto sparsero la notizia che cresceva in luoghi inaccessibili all’uomo e che veniva raccolto da scimmie appositamente addestrate. 

In realtà la sua zona d’origine è la regione del Malabar nell’India sud-occidentale.  Oggi è largamente coltivato anche nel Borneo, Indonesia e Brasile.

IL  “Piper nigrum L.” è una pianta rampicante che cresce nelle foreste tropicali  e quello che chiamiamo pepe è la bacca di questa pianta (bacca è anche il significato in sanscrito della parola pepe).

https://it.wikipedia.org/wiki/Piper_nigrum

Esistono diversi colori di pepe che però derivano tutti dalla stessa pianta :

il pepe verde, raccolto quando il frutto è acerbo e messo a macerare in salamoia.

il pepe nero: lasciato essiccare al sole finchè diventa scuro e ruvido

il pepe bianco: raccolto a maturazione e privato della polpa esterna di colore rosso.

il pepe rosso: è il frutto non lavorato.

C’è poi anche il pepe rosa che invece è il frutto della “Schinus molle” una pianta di origine Sudamericana chiamata anche “falso pepe”.

http://www.giardinaggio.it/giardino/alberi/schinus/schinus.asp

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Cipolla aveva ragione;  il pepe è ancora così presente nelle nostre vite da essere citato come unità di misura (qualcosa che è grande come un grano di pepe), da comparire nel titolo di un album dei Beatles  (Sergent Pepper’s lonely hearts club band)  e ispirare un gruppo musicale come le “Spice Girls”.

E  parlando di importanza del pepe nell’economia, qui di soldi ne sono girati parecchi.

Piper_nigrum

UNA PASSEGGIATA CON HERMAN HESSE

OltreilTempoeloSpazio

Apollo

(Una passeggiata sul lago dei Quattro Cantoni)

Il viandante se ne stava solo, sdraiato di fianco al sentiero, sotto il sole caldo. Il suo sguardo seguiva il gioco della luce sulle rocce gialle, l’orecchio si lasciava accarezzare dal rumore scrosciante del torrente alle sue spalle che giungeva da lontano, lieve e continuo. La sua anima, in un tenue dormiveglia, stava come un uccello con le ali spiegate sul paesaggio luminoso della sua infanzia. Una farfalla marrone volò lentamente oltre il muro della strada e attraversò con la linea inquieta del suo volo la silhouette della stretta superficie del lago, che rifletteva la sua luce negli occhi dell’uomo sdraiato. Sul fondo verde scuro e brillante, il colore opaco delle ali della farfalla sembrava più chiaro e più ricco. I bordi delicati tremolavano diventando una striscia di luce biancastra, come se il loro stesso contorno mosso e netto attirasse la luce.

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