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SUL FIUME

Questo è un tratto di fiume che ancora sembra lago ovvero è la parte terminale del lago che si appresta a diventare fiume.

Dove si trova il punto esatto, il passaggio ufficiale, la dogana?

No, non è certo la diga della Miorina, anche se è quella adesso che decide quanta acqua può passare; è un punto un po’ più a nord, uno scalino naturale sott’acqua, una specie di diga nascosta e spontanea che delimita l’invaso glaciale di uno dei più grandi laghi italiani, il Lago Maggiore, poi le acque del fiume Ticino che entrano a Magadino in Svizzera e le altre acque di fiumi e torrenti minori che entrano nel lago scendendo dalle montagne attorno, tornano a scorrere prima impetuose, poi calme e perfino pigre tra bianchissimi sassi fino a gettarsi nel Po.

Ma torniamo al punto di partenza di questa storia, a questo bacino ampio che si lascia alle spalle il Monte Rosa e il paese che i Romani avevano battezzato Sextum Mercatum. Qui gli uccelli acquatici vivono il pace (quasi sempre, se non fosse per i voraci gabbiani): svassi, tuffetti, folaghe a centinaia e tra le anatre il comunissimo Germano reale.

E’ uscito un bel sole in questo pomeriggio di fine dicembre e le coppie di germani si stanno alimentando, chi in acqua chi uscendo sul pendio erboso (la dieta è varia:  foglie di piante acquatiche, semi e granaglie, ma anche insetti acquatici, molluschi, pesci e crostacei). 

Qualcuno si riposa appoggiato ad un sasso, a un ramo, la testa ripiegata all’indietro (è una posizione tipica come anche quella di dormire su una zampa sola per sentire meno freddo) qualcuno che sembra sveglio in realtà dorme con un occhio solo, con l’altra metà del cervello attiva, infatti bisogna sempre restare in guardia contro i predatori.

Ma, di notte?

Dove dormono le anatre (gli uccelli acquatici in generale) ?

Ci sono tante risposte: possono dormire acquattati ai bordi dell’acqua, in un anfratto riparato, in una tana naturale, possono anche dormire galleggiando sull’acqua e certo noi adesso non li vediamo, perchè il pomeriggio invernale è diventato poco a poco una splendida notte dove gli ultimi bagliori del tramonto fanno da sfondo alle luci del paese, dalle quali ci stiamo allontanando.

IL VALZER DELL’ ENOTERA

Sarebbe più giusto dire delle Enothere, ma questo ve lo spiego dopo.

Perchè prima mi preme raccontarvi la bellezza di uscire un pomeriggio grigio d’inverno, quando sarebbe più logico starsene a casa al caldo invece di aggirarsi per lande desolate.

Desolate solo in apparenza.

Non fa freddo è vero, o almeno non quanto ci immaginavamo e le folaghe si fanno notare come al solito con il loro verso acuto e secco ma non solo le sole presenze in questi stagni.

In lontananza ma a tiro di binocolo ecco le Alzavole, abitatrici dell’inverno boreale. Le timidissime Gallinelle d’acqua se ne scappano correndo sull’acqua da un canneto all’altro e i Tuffetti… si tuffano in queste acque grigie e oggi invero poco attraenti.

Ma lo spettacolo vero e proprio è in cielo dove gli Storni in grandi gruppi disegnano geometrie cangianti nell’aria come opere d’arte effimere e stormi di centinaia di fringuelli fuggono in massa dai nostri passi come foglie spazzate via da una folata di vento.

Le cannucce di palude e le tiphe ovviamente sono ormai tutte secche e anche i pioppi italici che fanno da sfondo sono ormai nudi, solo qualche esemplare di Olmo (Ulmus minor) trattiene ancora sui rami delle foglie verdi e gialle.

E quegli stecchi con delle capsule di semi ormai aperte e vuote?

Non ci credereste mai ma sono l’ultima stagione della vita della Oenothera biennis. Una vita breve in verità che inizia con una rosetta di foglie lanceolate appressate al terreno e poi si sviluppa il secondo anno con questo lungo stelo in cima al quale sboccia un fiore dai petali gialli e dal delicato profumo di limone.

Enothera biennis

Ecco è come incontrare una vecchia signora e immaginare di come era in gioventù.

Vogliamo provare?

Dei fiori gialli abbiamo detto ma forse non abbiamo parlato della sua importanza per la medicina, non abbiamo parlato della sua famiglia (Le onagracee) e delle sue sorelle e cugine.

Le Onagracee (Onagraceae Juss., 1789) sono una famiglia di piante appartenente all’ordine Myrtales a portamento prevalentemente arbustivo o erbaceo.Della famiglia fanno parte 660 specie, ripartire tra 21 diversi generi e dalla distribuzione cosmopolita
Il nome della famiglia deriva da quello del genere Onagra (oggi incluso in Oenothera L.), descritto per la prima volta nel 1754 dal botanico scozzese Philip Miller.

Sono specie anche molto diverse tra loro come ad esempio la Fuchsia, pianta di origine centro/sud americana da noi solo coltivata oppure l’Epilobium angustifolium ampiamente diffuso nelle zone umide e lungo i torrenti di montagna.

Epilobium angustifolium

Ma se vogliamo restringere il campo al genere Oenothera ecco che possiamo parlare non solo della biennis, spontanea e molto diffusa, ma anche di altre specie diventate in maggior parte ornamentali e coltivate come ad esempio la Oenothera speciosa, la rosea, la macrocarpa, la tetraptera.

Tutte piante dai fiori bellissimi e delicati ma la Biennis ha una marcia in più, infatti è anche medicinale: dai suoi semi maturi si estrae un olio che usato come integratore alimentare è indicato nel trattamento della sindrome premestruale, della dermatite atopica, artrite reumatoide, sintomi della menopausa, diabete e anche delle malattie coronariche.

Per quasi tutto, si direbbe, ma ATTENZIONE, solo dietro consiglio medico.

GARZETTA IN GONDOLA

O quasi.

Lei (o lui) si è vestita per la festa con il ciuffo ad adornare il capo intanto che i suoi spasimanti la attendono fuori dalla messa domenicale.

Ma lei come il sommo poeta non si cura di loro, passa e non li guarda perchè in realtà non ha occhi che per il gondoliere.

Molti si sono chiesti perchè non se ne sta alla larga dagli uomini e dai loro problemi, al largo nella laguna, tra le barene.

Forse perchè ormai sono colonizzate dagli ibis sacri e dai fenicotteri, dai gabbiani invadenti e da quei suoi parenti un po’ grigi, gli aironi cinerini così amanti del sushi, neanche fossero giapponesi.

In realtà, gli animali e in questo caso gli uccelli hanno sempre vissuto accanto agli uomini, anche quelli selvatici, come i gatti che qui a Venezia non mancano, come non mancano i piccioni e forse per sfuggire a questi e a quelli che la garzetta (che di nome fa Marietta) ha chiesto al gondoliere di montare in gondola e di portarla al Lido.

L’INVASIONE DEGLI STORNI

C’è una cosa straordinaria da vedere a Roma in questa fine d’autunno ed è il cielo gremito d’uccelli (…) sono storni che si raccolgono a centinaia di migliaia, provenienti dal Nord, in attesa di partire tutti insieme per le coste dell’Africa…

Inizia così il racconto di Italo Calvino “L’invasione degli storni” contenuto nel suo libro PALOMAR .

La cosa straordinaria è la bellezza delle forme sempre cangianti che gli stormi di questi uccelli disegnano nel cielo, un po’ meno gradevole aggiunge Calvino, ma siamo sicuri non solo lui, sono gli escrementi che ricoprono la città dopo il loro passaggio (un effetto quasi uguale a quello di certe orde di tifosi di squadre di calcio)

Lo stormo di storni (facile gioco di parole) è così grande e fitto che il loro volo può anche oscurare il sole (come le cavallette bibliche).

La scienza però si è chiesta: Ma come fanno i marinai (no scusate, quelli erano Dalla e De Gregori) la scienza si è chiesta: come fanno a volare tutti insieme in volteggi complicati che neanche le frecce tricolori, e volare così vicini senza mai toccarsi?

Se lo è chiesto anche il nobel italiano per la fisica Giorgio Parisi nel suo libro sui sistemi complessi IN UN VOLO DI STORNI.

Irene Giardina, docente di fisica teorica alla Sapienza, e il marito e collega Andrea Cavagna. a loro volta affermano:

“Le figure aeree degli storni nascono da un comportamento imitativo, di mutuo allineamento locale: ossia ogni storno, per decidere che cosa fare, guarda solo i compagni più vicini a lui.

Questo meccanismo di coordinamento, pur nascendo in modo locale, è in grado poi di estendersi rapidamente a tutto il gruppo, facendo emergere un ordine collettivo, che forma le figure nel cielo.

Quest’ordine che emerge a partire da azioni locali è interessante per noi fisici perché osserviamo qualcosa di simile nel movimento delle particelle che formano i liquidi, e nel modo in cui gli atomi si allineano in un campo magnetico”. (da il Venerdì di Repubblica 29 ottobre 2021)

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Gli etologi e gli ambientalisti si sono chiesti perchè di questo raggrupparsi così numeroso: strategia difensiva contro i predatori, o gioia di stare insieme?

il mistero non è ancora stato risolto.

Ma per noi comuni mortali l’importante è l’effetto visivo, è la meraviglia di questa danza e il bello è che per osservare questa meraviglia non è necessario andare a Roma o in qualche altra grande città.

Può capitare di esserne testimoni anche in un piccolo paese del Parco del Ticino come ha fatto il mio amico Roberto che ringrazio per la segnalazione così come ringrazio tutti coloro che hanno condiviso le foto che ho inserito in questo articolo.

HO VISTO UN CUCULO VOLARE

Cuculus canorus

Qualcuno dice di aver visto il suo nido ma non credetegli, al massimo era un nido illegale, occupato abusivamente.

Forse l’unico a cui potrei credere è Milos Forman assieme a quel pazzo di Jack Nicholson e a quel fantastico gruppo di pazzerelli del film, ormai cult QUALCUNO VOLO’ SUL NIDO DEL CUCULO (1975 )

Cuculo imbeccato da Codirosso

Già, perchè anche i bambini lo sanno che il cuculo depone le proprie uova nel nido di altri uccelli (capinere, cannaiole, codirossi, ballerine e altre circa 50 specie di passeriformi) e siccome l’uovo è mimetico questi lo covano e poi nutrono il piccolo come figlio dopo che quest’ultimo si è sbarazzato delle altre uova gettandole fuori dal nido.

Un bell’esempio di opportunismo non c’è che dire, o meglio parassitismo e di perversione (da parte del cuculo neonato) ma anche di abbandono di minore (come quando si lasciavano i neonati davanti alle porte dei conventi) perchè appena deposte le uova il nostro vede bene di andarsene (è infatti un uccello migratore che nidifica, si fa per dire, in Eurasia e sverna nell’Africa sud-sahariana).

in verde zone di “nidificazione” – in blu zone di svernamento

E il suo verso, il caratteristico Cucù, cucù sa proprio di beffa, di presa in giro (te l’ho fatta, ingenuo che non sei altro).

Così non so se essere felice quando sento il suo canto in questo periodo di fine maggio inizio giugno; un verso forte, ben distinguibile dal cinguettio dei passeracei o dal gracchiare di gazze e cornacchie.

Ma il cuculo, inteso come uccello, voi l’avete mai visto?

Se è facile sentirlo è molto più difficile vederlo perchè si sposta preferibilmente di notte e poi è un uccello molto schivo e solitario nonchè molto litigioso nel periodo degli accoppiamenti.

Ma allora cosa è successo a questo cuculo che ha sorvolato cantando il mio giardino? Ha visto una femmina nei paraggi? Stava marcando il territorio oppure scappava sconfitto dopo uno scontro con un altro pretendente?

Certo se non fosse stato per il canto non avrei riconosciuto il suo piumaggio grigio/azzurrino/ardesia e la sua sagoma non molto elegante a dire il vero con quella lunga coda nera a puntini bianchi che lo fanno misurare in tutto 30 cm.

Cuculo maschio e femmina (più rossiccia)

Il cuculo (Cuculus canorus) appartiene alla numerosa famiglia dei Cuculidae che ha tra le sue fila uccelli anche molto diversi tra loro.

Ci sono ad esempio il cuculo dal ciuffo, il cuculo americano, il cuculo occhi rossi ma il più particolare di tutti è il Geococcyx californianus ovvero Roadrunner noto anche come Beep-beep, antagonista nel cartone animato di “Willy il coyote”.

Willy il coyote con il suo “nemico” Beep Beep in una immagine d’archivio. ANSA/INTERNET

Perchè sono arrivato fin qui, a vedere un cuculo dal vivo per la prima volta nella mia vita, a scoprire o a ricordare tutte queste cose?

Colpa dei cambiamenti climatici e della pioggia che non cade da mesi e che anche questa mattina mi hanno costretto a innaffiare i pomodori.

SMERGO MAGGIORE

Smergo Maggiore (Mergus meganser)

Siamo pochi in Italia a poterlo vedere allo stato naturale perchè la sua presenza e nidificazione è accertata solo da pochi anni.

C’è chi l’ha visto nel 2003 (CAI di Luino) e chi per la prima volta nel 2013 (Parco del Ticino zona nord). Sul lago Trasimeno pare faccia tappa dal 2016 e sul Naviglio Martesana c’è chi dice (foto alla mano) con una certa frequenza dal novembre 2020.

E’ uno di quei casi di espansione areale al contrario (da nord, dove vive da sempre, verso sud) e oggi è presente in molte aree dell’Italia settentrionale. In Lombardia per esempio è presente (e talvolta nidificante) in tutti i laghi prealpini e nel tratto settentrionale del fiume Ticino, dove noi l’abbiamo incontrato pochi giorni fa.

Avvistamenti dello Smergo maggiore nell’italia settentrionale

Chi l’ha misurato con il righello dice che è lungo 70 cm (con o senza becco?) Un’anatra bella grossa dunque quasi della taglia di un’oca.

Dal punto di vista estetico il maschio e la femmina si distinguono nettamente: il maschio ha la testa verde scuro quasi nera, mentre la femmina ce l’ha di un bel colore tabacco. Credo che abbiano lo stesso parrucchiere degli svassi, soprattutto la femmina con quel ciuffo sulla nuca, ma con gli svassi hanno in comune anche il trasporto della prole sul dorso.

Altra caratteristica è che femmine più sfaticate depositano le uova in nidi di altri della stessa specie per cui è possibile vedere delle neo mamme smergo con al seguito anche venti pulcini.

Ma come faranno così piccoli a scendere dal nido? Si perchè gli smerghi il nido lo costruiscono molto in alto (fino a 15 metri di altezza, su tronchi d’albero, o anfratti nei muri ma sanno arrangiarsi anche in luoghi più di fortuna.

I suoi ambiente preferiti sono le porzioni più elevate di bacini fluviali e laghi di buone dimensioni; evita invece le acque calde o con troppa vegetazione. Si ferma in genere dove trova abbondanza di pesci che caccia immergendosi diversamente da altre anatre che si nutrono stando in superficie.

Il suo becco seghettato e ricurvo all’estremità gli consente di essere estremamente efficace, un concorrente in più per cormorani e svassi. (Chissà cosa potrebbe succedere se si incontrassero con questi altri pescatori durante le loro immersioni)

NEBBIOLINA

Va beh, qui i colli non ci sono, neanche quelli irti ma, tanto, questa non è proprio nebbia, potremmo chiamarla tuttalpiù nebbiolina.

Ma se i colli non ci sono c’è molta acqua, nelle rogge, nei canali (un po’ meno nel fiume, visto che da mesi non piove.

E questa nebbiolina che ci accompagna in questa passeggiata mattutina, crea effetti di luce particolari (ho detto particolari e non spettacolari, come sono sempre obbligati a fare i fotografi professionisti)

Abbiamo appena passato la chiesa e dopo il canale eccoci immersi in un’altra epoca fatta di noccioli fioriti e di carici accarezzati dalle placide acque della roggia. Peccato per quei giganti di metallo che sicuramente avrebbero risvegliato le smanie bellicose di un don Chisciotte nostrano.

In effetti, il mulino più avanti c’è ma è di quelli ad acqua ma è anche il mulino del ponte, come ci ricordano le pietre del manufatto che ci permette di attraversare il vecchio Naviglio.

Mulino del Ponte
Ponte di Castano

Fa quasi caldo adesso e raggiungiamo il fiume facendo scricchiolare sotto i nostri passi le foglie dei platani. Due cigni si allontanano subito, gli svassi invece si tuffano sott’acqua ma non per timidezza, come al solito sono in cerca di cibo in queste acque limpide.

E la nebbiolina ?

Senza che ce ne accorgessimo se n’è andata e anche gli uccellini se ne sono accorti: cinciallegre dialogano fitte tra i rami di un pero, ma più in alto e più in là, tra i rami spogli di una quercia rossa ci accoglie uno stormo di fringuelli e poi un pettirosso e i codibugnoli nel loro moto perpetuo.

Ah l’avessimo immaginato prima di partire non ci chiederemmo perchè adesso siamo contenti come dei bambini ai quali hanno appena regalato le caramelle.