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HO SCRITTO T’AMO… SULL’ERBA

Si lo so, adesso quelli meno giovani tra voi mi diranno: ma non era sulla sabbia?

NO, no; è proprio sull’erba.

In verità l’autore non sono io ma un giovane artista franco-svizzero (Guillame Legros) che si fa chiamare Saype

L’idea nuova è fare dei murales ma sui prati in orizzontale un po’ come i madonnari. E farli in bianco e nero con materiali ecologici (carbone per il nero, gesso per il bianco, mischiandoli con la caseina come fissante). Materiali biodegradabili al 100%

E poi con queste opere lanciare dei messaggi (il messaggio intrinseco è una costante dei land.artists e degli street artists di questo scorcio di secolo)

Con le sue performance Saype vuole stupire, incuriosire, ma soprattutto rendere più sensibili verso quelle tematiche a cui negli anni lui stesso si è sempre più avvicinato, prima su tutti l’ecologia, il rispetto del pianeta e di ogni sua risorsa. Il suo obbiettivo è rendere le persone più consapevoli, rompendo il muro della rassegnazione che fa accettare tristemente un destino, che fa assistere impotenti a disastri ambientali, sociali e umani. Le sue opere vogliono lanciare messaggi di speranza e far comprendere che ogni giorno c’è tanto da fare e che ognuno può fare la sua parte. (da IL MEGAFONO)

E allora quali sono questi messaggi?

“Il pastore disteso” o “Il riposo del gigante”, per esempio è un grande affresco sul lato di una montagna che vuole trasmettere il legame tra l’essere umano e la natura.

Ma c’è anche la bambina sul bordo del lago Lemano a Ginevra che lancia una barchetta di carta sull’acqua a sostegno delle ONG che salvano le vite dei migranti in mezzo al Mar Mediterraneo

E ancora il progetto “Beyond walls” (Oltre i muri) iniziato nel 2019 sotto la Tour Eiffel e proseguito in altri paesi. Due mani intrecciate a significare il superamento di ogni confine, ogni separazione e disuguaglianza nel rispetto delle differenze.

Il richiamo mediatico di queste opere è stato ovviamente grandissimo (anche se a dire il vero non sarebbe stato possibile fruirne prima dell’avvento dei droni)

Ma quanto resistono queste opere “effimere”?

Dai 14 ai 90 giorni; dipende dalla neve e dalla tempeste (dall’acqua no, quella non gli fa niente) ma soprattutto dipende dalla velocità di crescita dell’erba, che rende questi grandi affreschi delle opere dinamiche, come dice l’ autore.

Un po’ come le onde del mare che poco a poco cancellano della spiaggia i messaggi d’amore scritti sulla sabbia.

Per chi vuole approfondire:

SIMON BECH E I CERCHI SULLA NEVE

 

Non ho ancora capito come fa a prendere le misure

E se lui non ce lo dice come facciamo? Ma poco importa.

IL bello è che lui lo fa da 10 anni.

Cammina nella neve con le ciaspole, per ore, apparentemente a caso, come un pazzo e poi escono questi disegni di grandi dimensioni, spesso raffiguranti cristalli di neve ma…  bisogna andare più in alto, su una collinetta, un punto rialzato;  adesso vengono comodi anche i droni.

Le Alpi  francesi sono lo scenario preferito dove realizza circa 30 disegni all’anno.

Simon Bech è un artista inglese che forse ha preso ispirazione dai cerchi nel grano  o anche dai madonnari, da Escher o da Lorenzo de’ Medici  perchè, lo sappiamo tutti, la bellezza è effimera.

Si ma quanta pazienza e precisione e sudore!

Sicuramente molto di  più  che scrivere “T’AMO”  sulla sabbia.

E pensa quanto deve amarti uno che fa questi disegni sulla neve per te.

In realtà non sappiamo se Simon Bech li fa per qualcuno o solo per sè o per i giornalisti, per i critici d’arte o per il gusto di essere ricordato.

Sicuramente non possiamo chiamarla solo “Snow art”.

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ADDIO LAND ART

Sarete d’accordo con me, spero, nell’affermare che il più buffo dei due uomini che compaiono nella foto è quello guarda.

Il più buffo e anche il più stupito.

L’altro, invece, quello con il cappellino azzurro che sembra intento ad allacciarsi una scarpa, pur in una posizione inusuale in un luogo pubblico, appare concentrato su quello che sta facendo, incurante dei passanti.

Ma chi è?  e soprattutto  Cosa sta facendo?

Potremmo dire che è un giardiniere, un fotografo, un artista di strada.

Come?

Quando diciamo artisti di strada tutti pensiamo a mimi, giocolieri, mangiatori di fuoco, acrobati, musicisti, madonnari.

Ci sono però altri tipi di artisti di strada che forse sono meno conosciuti.

Steven Wheen (è lui l’uomo con il cappellino azzurro) è un 38enne australiano che vive a Londra e si è inventato una forma d’arte  che va oltre la “land art” .  Parafrasando  il movimento a cui si ispira potremmo chiamare la sua arte ” guerriglia gardening art”  invece del brutto “photohole gardener” con il quale viene di solito citato.

Ci sono delle buche nelle strade di solito, quelle dove si formano le pozzanghere, quelle dove è saltato via un tassello di pietra  o dove si è rovinato l’asfalto, quelle che restano dopo lavori di posa dei tubi del gas o della fibra ottica… insomma, in tutte le città del mondo c’è solo l’imbarazzo della scelta.

E allora il degrado può diventare bellezza attraverso una provocazione tipica dei guerriglia gardeners: Steven Wheen ricrea dentro queste buche dei giardini in mininatura (con piante vere, ovviamente)  e poi fotografa questo risultato prima che il traffico se li porti via.

E’ un’arte a perdere è vero (ma immortalata dalle foto) è una bellezza effimera, ma cosa c’è di più effimero della bellezza?

 

BRUCE MUNRO E LE LUCCIOLE

“Metteremo la luce nei campi!” è una delle più famose frasi (promessa o minaccia?) di Benito Mussolini, Duce del ventennio fascista.

Lui non ci riuscì.

Ci è riuscito invece, anche se in un altro senso, questo artista  di nome Bruce Munro.   Lui non è certo Christo (nel senso del famoso artista bulgaro)  ma Bruce Munro si è inventato un altro tipo di land art e si è fatto conoscere in tutto il mondo con i suoi “campi di luce”.

ecco qualche esempio

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Bruce Munro nella sua opera si è certamente ispirato alle lucciole, o meglio ai fotografi di lucciole.

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Queste foto sono state prese con tempi di posa molto lunghi, ovviamente.  Non sperate di vedere dal vivo questi effetti di luce.

Quello che possiamo sperare invece è ancora di vedere di notte nei campi e nei boschi  questi per noi magici insetti della famiglia dei Lampirydae.

Ma cosa sappiamo davvero delle lucciole? Cosa produce quella luce e perchè?

Pare che alla base di tutto ci sia una sostanza chiamata “luciferina” che si unisce all’ossigeno assorbito da questi insetti e dà luogo ad  una reazione chimica che produce quella luce verde e gialla.

Lucciola

Questo fenomeno, chiamato bioluminescenza, serve alle femmine per attirare i maschi nei periodi di accoppiamento  cioè generalmente nei mesi di giugno e luglio, preferibilmente tra le ventidue e mezzanotte.

Le femmine possono tenere accesa la loro luce per due ore continue, e per dieci giorni di seguito, fino all’arrivo del maschio.  (Da qui l’appellativo popolare dato alle professioniste del sesso che stazionano di notte lungo le strade).

Il maschio produce una luce più intermittente e di breve durata.

http://www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/5-cose-da-sapere-sulle-lucciole

Le lucciole, come sappiamo in Italia stanno scomparendo a causa della cementificazione e dell’uso dei pesticidi. Eppure sono un insetto “utile” perchè le sue larve mangiano larve di altri insetti dannosi per le colture.

lucciola 2

Ultimamente le lucciole sono studiate per il loro particolare modo di produrre luce: infatti in questo processo non genera calore e disperde solo il 10% dell’energia necessaria. (Quando si parla di efficienza energetica!)

Luce senza elettricità? Lo insegnano le lucciole

http://puntodincontro.com.mx/articoli/attualita05062010.htm

Le lucciole di Bruce Munro invece sono fibre ottiche alimentate per la prima volta con l’energia solare  in questa grandiosa installazione ad Ayes Rock, ovvero Uluru, la montagna sacra dei nativi australiani.

Chi capita da quelle parti può vederla dal vivo fino al 31 marzo 2017.

Field of light at Ayes Rock Australia

central-australias-uluru-rock

Qui altre foto e notizie su questo artista:

http://www.brucemunro.co.uk/work/installations/

 

SCREPOLATURE

Chiarisco subito che questa non è una pubblicità di cosmetici e neanche di prodotti protettivi per non fare rovinare la vernice sul legno.

Le screpolature in questione sono quelle sul fondo di una pozzanghera asciugata dal sole, un fenomeno naturale che succede quando una superfice liscia si disidrata e perde elasticità (beh, il linguaggio è lo stesso che sulle confezioni di crema per la pelle, ma perdonatemi).

Il raggrinzimento (orrore !!) fa sì che i lembi si sollevino e producano un mosaico di tessere leggemente concave divise tra strette aperture irregolari che lasciano intravedere il terreno più scuro sottostante.

Questa pellicina è formata da un terreno di natura diversa da quello sottostante,  lo compongono granelli di sabbie e argille più fini che la pioggia ha trasportato e “steso” quasi come uno strato di vinavil.

Ah, lo sapevo che arrivavamo lì.

Ma se vogliamo andare più in profondità, sotto la pelle, scopriremo altre storie.

Per esempio non solo i fanghi, le argille possono creare quell’effetto ma anche il sale.
Ci sono grandi deserti del Sud America  come il deserto di Atacama in Cile

Cile - Deserto di Atacama
Cile – Deserto di Atacama

o il deserto di sale  di  Uyuni  in Bolivia

Bolivia - Salar de Uyuni
Bolivia – Salar de Uyuni

dove si formano paesaggi particolari: grandi cretti naturali, ambienti surreali eppure affascinanti che sicuramente hanno ispirato un artista italiano del ‘900 come Alberto Burri, famoso anche per aver creato opere con sacchi di iuta, plastiche bruciate, muffe…

Alberto Burri - Cretto G 1 - 1975
Alberto Burri – Cretto G 1 – 1975

Da Burri e dal terremoto del Belice (Sicilia occidentale) del 1968 ci arrivano altre crepe, più profonde; non solo quelle lasciate sul terreno ma nell’anima e nei cuori di quelle comunità

In una installazione di “Land Art”  il nostro artista ha voluto ricreare un grande cretto che ricalcasse il reticolo delle strade di Gibellina là dove sorgeva l’antico abitato. (La nuova Gibellina: la new town, come si dice adesso, è stata ricostruita a 20 km di distanza)

Burri - Cretto di Gibellina vecchia
Burri – Cretto di Gibellina vecchia

Alberto Burri e i Cretti, una mostra a Palermo per il centenario dell’artista

http://www.zmphoto.it/foto/settimo-lo-nigro/157325/

Cretto di Gibellina
Cretto di Gibellina

Allora questa opera d’arte che imita un fenomeno naturale anzi due (la siccità e il terremoto)  simboleggia  l’energia che si libera in questi processi e allo stesso tempo diventa memoria di qualcosa che non c’è più.

Devo ricordarmelo la prossima volta che vedo una pozzanghera asciugata dal sole o passo davanti ad un banco di cosmetici.

 

 

LASCIARE UN’IMPRONTA

orma e sasso copia 2

Un blog che si occupa di biodiversità non può non occuparsi dei sassi, e sulla loro biodiversità non ci sono dubbi, per i diversi tipi di roccia di cui sono fatti, per forma, colore, consistenza, ruvidità o levigatezza.

E del resto molti di noi hanno passato del tempo a raccogliere sassi sulla spiaggia o sulle rive dei fiumi o in montagna: è qualcosa che quando inizi ti prende e ti affascina salvo poi accorgersi che i sassi sono pesanti e quasi sempre li abbandoni e abbandoni i tuoi propositi di portarli a casa.

land-art-huellasSi possono fare tante cose con i sassi: parlarci (come la mia amica Wizlava), raccogliere i più belli per forma e colore,  dipingerli, sbriciolarli per farne ceramiche, affogarli nel calcestruzzo, usarli come sottofondo nelle strade sterrate, lanciarli a piattello sull’acqua per vedere quanti salti fanno o lanciarli in fondo a un pozzo per sentire quanto è profondo, scrivere sui muri, trarre ispirazione per scrivere poesie … incollarli su grandi pareti dentro le chiese o in altri luoghi per formare mosaici.

Il fotografo inglese Iain Blake però fa un’altra operazione ancora, qualcosa che ha a che fare con la “land art” ma se ne discosta  perchè di questa non ha l’ansia delle grandi superfici e la necessità di creare un’impatto sul paesaggio.

Iain Blake vede nei sassi che trova sulla spiaggia l’impronta dei nostri piedi, in un gioco divertente e colorato perchè le dita se ne erano andate per conto loro e il bello è rimetterle assieme.

Sembra un gioco banale ma non lo è. Infatti anche qui l’importante è lasciare un’impronta.

(tutte le foto sono di Iain Blake)

Stone-Footprints-land-art-Iain-Blake-11

 

 

LO SPECCHIO LIBERTY

specchio liberty

Se non fosse che gli esempi ormai si sprecano e che la TV-spazzatura imperversa da anni, questo potrebbe essere un articolo originale.

Ma non lo è.

Vale la pena di scriverlo, allora?  (Mi sono chiesto).

Ma sì, in fondo questo è un articolo riciclato, che usa vecchi pezzi di articoli che ho scritto tempo fa, alcuni pubblicati, altri no, e recuperati in fondo a qualche cassetto.

Conoscete Marcel Duchamp? Bene; è stato il primo artista del ‘900 capace di dare dignità artistica alla tazza di un vecchio WC. Ecco perchè tutti gli esempi venuti dopo sanno di già visto, di già conosciuto.

Perfino Andy Warhol con le sue lattine di zuppa rischia di essere scontato ma è così che va la storia: le avanguardie diventano retroguardie e le guardie diventano ladri e qualche volta anche viceversa.

E se è vero che alcuni artisti sono stati precursori nel riconoscere e ridare valore ad oggetti che per la massa non ne avevano più, è‘ innegabile  che oggi il riuso e il riciclo si stanno imponendo sempre di più anche a causa della crisi economica (che ve lo dico a fare) e vieppiù si stanno moltiplicando gli esempi di riuso creativo, applicato al design per esempio, con la creazione di oggetti utili e non solo belli o stravaganti.

Chi di voi non è andato a vedere almeno una mostra di questo tipo?

Per quei pochi che sono ancora a digiuno suggerisco un esempio artistico e sociale: http://www.cooperativaimpronta.it/

E lo specchio liberty?

Ah, quello è uscito da una pulizia dei boschi in una giornata ecologica  di qualche giorno fa.

Degli uomini hanno fabbricato uno specchio, altri l’hanno gettato nel bosco, la natura ci ha messo del suo e ha trasformato un rifiuto in un oggetto d’arte…

Ma basta, basta… l’unico modo per non parlare di rifiuti è di non produrli più.